Capitolo 70: L'impegno che non serve

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La sua vita era una continua corsa. I suoi piedi non avevano mai sentito il terreno su cui essi si scontravano ogni volta. Un passo dopo l'altro. Aveva attraversato così tanti luoghi, così tante situazioni, che non aveva potuto assaporarsi del tutto ciò che lo circondava perché doveva raggiungere anche lui il traguardo. Mentre gli altri si erano già fermati, lui doveva ancora arrivarci; mentre gli altri diventavano un esempio, lui doveva ancora imparare. Correva. Correva per poter provare le stesse sensazioni e poter condividere con loro come ci si sentisse, un senso di comprensione nel sostenersi a vicenda per quelle soddisfazioni. Ma era tutto vano: sarebbe stato sempre più in basso.
La vita era fatta di alti e bassi, giusto?
Salite e discese. Discese e salite.

Una volta superato l'ostacolo più grande, davanti a lui una lunga discesa lo avrebbe accolto per poter essere sulla stessa linea di chi lo aveva preceduto. Eppure non vedeva nulla davanti a sé. Se gli altri correvano lungo un percorso mutevole, montagne che scalavano a mani nude per poter scendere e ritrovarsi di nuovo in pianura, lui non vedeva nulla. Era una continua salita, uno continuo e perenne sforzo inesauribile che gli impediva di toccare la vetta. Dov'era la vetta? Non la vedeva, non riusciva a scrutarla. Se solo avesse osato guardare verso l'alto, senza tenere sotto controllo i suoi passi, sarebbe caduto e avrebbe dovuto ricominciare tutto daccapo.
Era già successo, tanto che non vedeva più i suoi compagni.
Aveva corso così tanto che aveva realizzato solo adesso di aver imboccato la strada più intricata e complessa. Da una divisa da cadetto dei Marines, la sua pelle era stata coperta da un'uniforme e da una patch che decretava il suo ingresso in un mondo ancora più tosto a cui aveva ambito, ma che aveva forse sottovalutato.

Come aveva fatto a toccare la vetta se ancora non c'era arrivato? Come aveva fatto a ritrovarsi con la divisa del team migliore degli Stati Uniti, del mondo intero, se si sentiva ancora una cintura quando i suoi compagni scendevano sul campo? Non aveva niente in comune con la loro mentalità, con il loro adattamento alle situazioni più altalenanti. Non aveva la freddezza di un soldato, la sua determinazione nello spianare la strada contro chiunque gli si fosse messo davanti; non aveva la ponderosità di uno stratega, le sue tattiche che gli impedivano di finire ferito; non aveva personalità, un filo che lo avrebbe condotto in un ruolo che sarebbe stato riconosciuto da chi aveva accanto. Era lì, ma al tempo stesso era come se non lo fosse, come se la sua voce non fosse abbastanza autoritaria per dimostrare di essere parte del Team Bravo. Allora cosa poteva fare per farsi sentire?

Correre. Correre. Temprarsi. Allenarsi. Forgiarsi ancora di più per poter essere più forte, più capace, eliminando dalla faccia della terra tutte le insicurezze che lo avevano reso ridicolo davanti a tutti ancor prima che sul suo collo pendessero le piastrine che si sollevavano ad ogni suo passo, collidendo contro il suo petto sudato, fradicio, per rammentargli le vite che pendevano dalle sue mani e che non avrebbe potuto preservare se si fosse ferito ancora una volta prima di tutti, diventando parte di quegli stessi civili, un intruso.

Erano questi i pensieri che non erano più usciti dalla testa di Gavin Brown da quando aveva fatto quella palese figura di merda davanti al suo capo – nonché adesso Generale del Navy SEAL – davanti a tutta la base. Per tali motivi, non aveva smesso di passare del tempo all'interno della palestra della base; ogni mattina era sempre presente, soprattutto negli orari dove sapeva di non trovare nessuno per evitare di fare un'ulteriore figuraccia davanti a uomini di rango più basso al suo che avrebbero celato il fastidio con un sorriso di cortesia. Allora stava correndo anche quel giorno. Sul tapis roulant, si sentivano solo i suoi passi repentini colpire il tappeto che si muoveva veloce sotto i suoi piedi per continuare quella maratona infinita. 

Con sguardo dritto davanti a sé, stava fissando la parete in fondo alla sala per rimanere concentrato; privo di cuffie alle orecchie, senza musica all'interno della stanza, il boato delle scarpette da ginnastica e il suo fiatone ansante e affannoso erano gli unici suoni udibili che gli facevano compagnia. Avrebbe dovuto sentire le sue gambe, averne il controllo per fare in modo che quella corsa fosse scandita, ma più continuava più la sensibilità stava andando a farsi una vacanza. La bocca si apriva e chiudeva a ritmo, pur di regolare il respiro e il battito frenetico del suo cuore che stava chiedendo pietà, una pausa che, da quando aveva messo piede in palestra quel giorno, si era rifiutato di prendere per questioni di orgoglio, di un orgoglio che non doveva ferire per l'ennesima volta, tradendosi con le sue stesse mani. Lanciò una rapida occhiata allo schermo del tapis roulant; erano segnati venti minuti di corsa. Vent'uno e diciassette secondi per l'esattezza. Non ce la faceva più. Doveva correre ancora; quei minuti erano troppo pochi rispetto ai suoi standard. 

OPERAZIONE YWhere stories live. Discover now