Capitolo 30: Fede

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Nell'altra camera del motel, Noah emise un grugnito di dolore che rimbombò in quel piccolo bagno di circa tre metri quadrati. Seduto sullo sgabello incluso all'interno del servizio, si era puntellato di fronte allo specchio per avere una visuale migliore del suo braccio destro, quello che era stato sfiorato dal proiettile incandescente. Sulla sua pelle era rimasto uno sfregio evidente, più grande di quello che si era immaginato; la bruciatura attorno ad esso aveva colorato la zona con un rosso acceso, e la pelle si era aperta di poco. Non necessitava di punti, su questo era sicuro, ma gli stava dando non pochi problemi nel cercare di ripulire l'area circostante e disinfettare la ferita fresca. Togliere il lenzuolo che aveva avvolto sul braccio gli aveva fatto vedere le stelle; raffermandosi, il sangue aveva funto da collante e aveva reso tessuto e pelle un tutt'uno che, da staccare, si era rivelato lento e metodico. Liam aveva voluto dargli assistenza, ma si era rifiutato; stava bene, non aveva bisogno di uno stupido medico che gli controllasse un taglietto che di taglietto, tuttavia, non aveva un cazzo di nulla. Poteva cavarsela benissimo da solo, non era difficile trattare quel tipo di ferite; sebbene non fosse un taglio superficiale, le pratiche di medicazione erano le stesse: pulizia, disinfettante, cicatrizzante, garza sterile e cerotto. Fine della storia. A torso nudo, stava fissando il braccio riflesso per vedere meglio il lato cieco che, con il solo movimento rotatorio dell'arto, non era in grado di esaminare. Concentrato e con il labbro inferiore fra i denti per anticipare una qualunque altra scossa di dolore che gli avrebbe fatto scappare un gemito un po' più sonoro, vide che la linea lasciategli dal proiettile era sottile e partiva dal lato frontale sino a quello posteriore che non vedeva. Il sangue usciva lento e di poco, rispetto a quando era stato appena sparato, perciò non dovette picchiettare o ripulire la ferita spesso e assiduamente; la pelle era aperta come lo strappo di un cuscino, frastagliata in alcuni punti, i quali convergevano verso l'esterno. Aveva cercato di tamponare un po' con del cotone imbevuto nel disinfettante, ma quel singolo gesto gli aveva fatto serrare gli occhi e allontanare il batuffolo già unto di rosso. Era la prima volta che sentiva la sensazione di un proiettile sulla sua pelle; non sarebbe mai stata lancinante come un colpo dentro la carne, ma lasciava comunque il suo effetto. Il tipo di dolore che provava era soprattutto il bruciore; Liam gli aveva dato un kit di pronto soccorso e all'interno aveva trovato anche una pomata per trattare l'ustione di secondo grado. Dopo aver pulito la ferita, ne aveva spalmata un po'; il fresco aveva sovrastato il calore, lenendo il dolore. Eppure la parte peggiore era lo sfregio. Non poteva traballare per una ferita stupida come quella; Dave e Gavin si erano beccati una pallottola, mentre Gregory aveva subìto un colpo da cecchino al petto, il quale – nonostante fosse stato parato dal giubbotto – gli aveva comunque regalato un dolore che, secondo lui, era molto più fastidioso di uno sfregio. Qualunque ferita faceva male, questo non poteva essere contestato, pertanto fare paragoni non era appropriato. Eppure per Noah le differenze c'erano eccome; non si fece, perciò, scoraggiare da un taglietto di merda. Prese un respiro profondo con le narici ed afferrò un nuovo batuffolo di cotone per bagnarlo con un po' di disinfettante. Arrivò alla ferita e picchiettò nuovamente. Serrò le labbra, obbligando gli occhi a rimanere aperti per fissare e continuare la medicazione. Nel frattempo, il tallone della scarpa tartassava il pavimento con un moto continuo e martellante. Pulì il taglio, usufruendo del riflesso per arrivare dall'altra parte, e finalmente vide il vero colore della sua pelle bruciata. Gettò con nervosismo il cotone nel cestino accanto al lavabo e ringhiò, serrando i pugni e contenendosi dallo sbatterli sulle cosce. Aveva dovuto buttare la felpa, ormai sporca e strappata, prendendo un ricambio che aveva portato per le emergenze; era stato Dave a dirglielo, in caso i vestiti si sarebbero strappati, non calcolando da cosa, però. E aveva preso i primi capi che gli si erano presentati davanti, nel suo armadio vuoto e non di certo colmo di roba nuova e di marca; una semplice maglietta a maniche corte bianca e dei pantaloncini neri. Che stupido, credeva di aver preso i pantaloni della tuta; la stanza non aveva il riscaldamento e stava sentendo freddo, non solo al busto scoperto, ma anche alle ginocchia. Si aggiustò gli occhiali sul naso ed allungò la mano per prendere il cicatrizzante. Adesso stavano per arrivare le stagioni che detestava a morte; autunno e inverno erano ottime per nascondere braccia e gambe, ma stressanti per il freddo. Lui non lo sopportava proprio, era troppo sensibile ad esso. Mentre Dave soffocava sotto il sole cocente, lamentandosi del caldo, lui poteva stare anche con una felpa addosso senza risentire della calura; al contrario, in inverno si vestiva a cipolla, con canotte, t-shirt e felpe, mentre Dave poteva stare tranquillamente a maniche corte in casa con il solo riscaldamento che a lui, invece, non bastava. Tolse il tappo dallo spray cicatrizzante e lo puntò sulla ferita. Sollevò gli occhi al soffitto e abbassò le spalle con un sospiro teso. Fece pressione sul flacone e spruzzò. Le palpebre ebbero uno spasmo inconsulto, ma non ebbe altre reazioni; rimase in silenzio, immobile. Prese la garza sterile e l'avvolse attorno al braccio, facendo attenzione a non stringere troppo. Mise una fascia per tenere tutto fermo e concluse. Tuttavia non aveva ancora finito. Volse lo sguardo sull'avambraccio sinistro e corrugò la fronte con aria seccata; un ematoma violaceo aveva decorato la parte coincidente all'ulna, metà fino al polso. Prese un'altra crema e la spalmò senza problemi, aspettando che si assorbisse. Era strano pensarlo, ma quando si trattava di ematomi non sentiva più il dolore, come era accaduto per il pugno in aereo; il primo impatto lo registrava, ma dopo era come la puntura di un insetto, inavvertibile. Era solo la sua pelle che, purtroppo, si danneggiava come se avesse ricevuto chissà quale duro colpo. O forse era lui...ad averci fatto il callo.
Adagiò le braccia sulle gambe, notando con il suo riflesso, essendo messo di profilo, l'apertura alata delle scapole. Si faceva impressione da solo. Il suo fisico non era magrissimo, ma a causa dell'altezza, sembrava che lo fosse. Le braccia non erano due stecchi, benché meno le gambe; le forme c'erano. Il problema era che non erano toniche. Di quanto bruciasse davanti ai videogiochi e alla programmazione, qualcuno avrebbe avuto anche l'errata idea di chiedergli se facesse palestra.
Con apatia scosse la testa, inspirando dalle narici.
Dave non era in camera. Era uscito a parlare con Stella per attuare un rapporto completo dell'operazione alla quale lei non era riuscita ad assistere per filo e per segno, di come si fossero susseguite le scene senza avere il tempo di avvisare e dare un quadro generico dei movimenti del nemico e della squadra, dopodiché sarebbe andato a prendere qualcosa da mangiare; non avevano ancora cenato, tuttavia Noah non aveva fame. Il suo stomaco si era chiuso da quando avevano iniziato a competere con il caso che il Direttore Simmons aveva loro affidato. Non perché volesse digiunare di sua spontanea volontà, bensì perché il lavoro lo aveva talmente preso con le ricerche e lo sforzo, non solo fisico, ma anche mentale, che mangiare era saltato via dalla lista delle cose da fare ed era rientrato nell'elenco di ciò che non era indispensabile per il suo corpo, seppur in teoria lo fosse. Ed era strano che uno come lui non avesse fame, essendo accompagnato da qualsiasi tipo di cibo spazzatura in ogni sua azione, che fosse la programmazione o il giocare. Non riusciva nemmeno lui a dare una spiegazione, ma aveva saltato pranzo e cena quel giorno, e il suo stomaco non stava soffrendo. Cercò di raddrizzare la schiena per vedere come fosse il suo corpo con una corretta postura; recuperava i centimetri che perdeva con la piccola gobbetta. Il suo aspetto cambiava radicalmente con un semplice cambio di postura. Col petto in fuori, dava l'idea di essere più autoritario e minaccioso; ricordava quando al liceo gli bastava correggere la colonna vertebrale per incutere ulteriore timore a chi osava avvicinarsi a lui. Adesso, invece, con il peso dello zaino e la continua permanenza davanti allo schermo, si sentiva davvero uno scherzo...
La porta della camera si aprì.

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