Capitolo 40: La bomba

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Le gambe di Sully avevano smesso di muoversi non appena la frase di Noah era rimbombata assordantemente dentro il suo orecchio. Mentre i civili lo sorpassavano freneticamente per poter raggiungere le carrozze da lui citate o per chiudersi nelle stanze dalle porte che avevano sfondato loro stessi per potersi mettere in salvo, lui era rimasto lì, immobile come una statua di marmo, gli occhi spalancati a fissare un punto nel vuoto, mentre gocce di sangue colavano lungo la sua guancia sino alla mandibola, precipitando contro il pavimento. Le voci agitate delle persone, i loro passi concitati, il sobbalzare del treno sulle rotaie, il terremoto causato dalle suole imperterrite sul parquet, erano solo un suono offuscato, appannato e distante dal frastuono che aveva precedentemente ascoltato non appena gli spari si erano sollevati nell'aria apparentemente tranquilla del mezzo pericolante.
Per un attimo aveva tirato un sospiro, quando Noah aveva confermato di avere trovato l'ospite nell'ultimo vagone, ma quello stesso sospiro era rimasto in bilico, il petto lievemente gonfio, non avendo terminato l'atto dell'inspirazione per passare all'espirazione, quando in quella stessa frase si era susseguito ciò di cui avevano discusso principalmente durante il briefing. Avevano previsto che sopra quel treno il rischio di attentato fosse stato inevitabile, ma non avrebbero mai potuto prevedere che il detonante si sarebbe celato nello stesso luogo in cui tenevano prigioniero Jake.
Jake e la bomba erano nella stessa stanza.
Y stava applicando la legge del contrappasso contro di loro; conosceva l'esperienza da artificiere di Jake e voleva riservargli la stessa fine con la quale lui aveva eliminato i suoi nemici. La pistola tra le sue mani iniziò a tremare ininterrottamente, lo sguardo precedentemente scosso stava tramutando gradualmente in un miscuglio fra rabbia e determinazione. Avrebbe voluto insegnare a loro cosa significasse soffrire?
Povero illuso.
Le ingiustizie della vita erano scritte nel loro sangue.
Fece dietro front e camminò contro corrente.
Kyle e Liam si sarebbero occupati dei civili, Dave avrebbe corso verso il bastardo da catturare.
Lui aveva una missione ben diversa.
Raggiungere l'ultima carrozza.

**

Noah sentì qualcosa pompare assiduamente dentro le sue vene, circolando fino a giungere nel cuore. Era freddo, tanti piccoli cristalli congelati che gli stavano dicendo implicitamente che l'estate fosse giunta al termine. Oppure volevano entrargli dritti nel cervello per trapanargli il cranio e fargli realizzare in che caspita di situazione si fosse andato a cacciare. Perché i suoi occhi non stavano guardando quelli scioccati di Jake, né tantomeno il fatto che fosse legato, imbavagliato e davanti a lui, sinonimo che aveva trovato l'ospite al posto degli altri come da accordato.
No.
Le sue iridi spalancate stavano fissando il timer che si era attivato non appena aveva osato aprire e varcare quella dannata porta scorrevole. Stava andando veloce, rispetto ad un normalissimo ticchettio di un orologio, e le vene stavano pulsando allo stesso ritmo di quel suono, un allarme che lo facesse riprendere.
Non poteva crederci.
Una fottuta bomba era a bordo di quel treno e lui era proprio lì, bloccato nella stanza.

«Porca troia.» sospirò, facendo qualche passo indietro.

Come aveva fatto a non accorgersene? Aveva corso sfiorato dai proiettili, ma solo adesso, quando tutto era giunto ad una stasi, si era reso conto che i due terroristi avevano cessato il fuoco nel momento stesso in cui lui era sopraggiunto alla porta; lo avevano invogliato a correre per innescare il timer. Era già stato tutto premeditato per far saltare in aria almeno quegli ultimi vagoni. Si voltò, scoccando un'occhiata alla finestrella, più scura rispetto alle altre; i passeggeri erano nel panico più totale. Se la bomba fosse esplosa sarebbero morti tutti. Cristo... sentì una voce dentro la sua testa parlare senza il suo consenso. Un brivido aveva indotto i suoi arti a formicolare per rinsavirsi da quel momento di stupore.
Ok. Non doveva farsi prendere dal panico, doveva mantenere la calma e reagire come aveva sempre fatto. Il problema era che non aveva mai avuto a che fare con una bomba se non nei videogiochi, solo che nella vita vera non esisteva un checkpoint; non poteva riprovare una volta che aveva sbagliato. Trasse un lunghissimo respiro profondo, inalando quanto più ossigeno possibile per soddisfare i suoi polmoni, specialmente il cervello, affinché ragionasse più lucidamente. Aveva vissuto di tutto in quelle settimane – aveva addirittura rischiato di schiantarsi nell'oceano con un aereo! – un'ulteriore prova non lo avrebbe messo in difficoltà.

OPERAZIONE YWhere stories live. Discover now