Capitolo 17: Firmato...

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Maledizione. Maledizione a te, fottuto energumeno del cazzo. Si dannò Noah alla sparizione di Dave oltre il bagno. Come cazzo avevano fatto ad abbassare la guardia in quel modo? Si erano distratti a causa dell'attacco di ansia del defunto Kevin che non avevano considerato la parte più importante: il non lasciarlo solo, nonostante fosse all'interno della sua stessa suite. Un errore che, purtroppo, aveva coinvolto anche lui; il nominare il Team Alpha aveva spostato la sua attenzione in altro e non nell'obiettivo principale, il quale si era trasformato in un'altra vittima. Digrignò i denti dalla rabbia, massaggiandosi l'orecchio intorpidito dagli spari; sebbene quello scatto di ira, Dave era comunque rimasto lucido. Aveva mirato alle gambe dell'assassino, dai fori che si erano creati sul muro di fronte, come una costellazione di puntini neri, con l'intento di smorzare la sua fuga ed interrogarlo. Quest'ultimo era stato baciato da qualche miracolo divino per esserne uscito illeso ed avere avuto l'opportunità di saltare e nascondersi in bagno, il luogo dalla quale si era infiltrato nella stanza; che Kevin avesse lasciato aperta la finestra per sbaglio? O era stata forzata dall'esterno per entrare di soppiatto? La sfortuna aveva girato a loro favore. Come sempre d'altronde. Non c'era mai stata una volta in cui Noah aveva potuto ritenersi fortunato, pertanto la sua rabbia non fu per niente equiparabile a quella del soldato, seppur fosse urtato dall'ennesimo fallimento nella quale si erano impelagati. Stavano continuando a fare buchi nell'acqua, uno dopo l'altro; non stavano concludendo nulla, se non assistere ad omicidi su omicidi senza ottenere informazioni. Il biglietto di Gonzales li aveva condotti in Spagna. A quale scopo, poi? Per vedere colui che avrebbero dovuto proteggere morire come se la loro presenza non fosse indispensabile. Era come se Kevin fosse morto per causa loro. Gli dava sui nervi. Tutta quella storia, stava incominciando a dargli sui nervi; da una semplice indagine di due omicidi si erano catapultati in Spagna, scoprendo che le tre vittime erano collegate. Collegate da qualcosa che Dave non aveva valutato. E non aveva avuto il tempo di chiederglielo che gli astri gli avevano messo i bastoni fra le ruote. Non vi è bastato tormentarmi durante l'adolescenza? – pensò, serrando le labbra in una linea sottile – E poi mi chiedono perché sono realista. Non viviamo in una fottuta favola. Ciò che stava vivendo in quei giorni era un dato di fatto; una vita di merda da tecnico della rete, trasformata in un lavoro alla CIA, che gli aveva assegnato un lavoro altrettanto di merda. Dopotutto non c'era riposo per i malvagi, e lui non avrebbe mai vissuto un momento di armonia; che cos'era, non lo sapeva nemmeno. Nel suo vocabolario non vi erano termini accostabili alla tranquillità. Se poi c'era di mezzo Dave, avrebbe potuto dire addio persino alla sua solitudine, la quale gli regalava un minimo di soddisfazione per starsene in santa pace per i fatti suoi.
Cercò di non rivolgere lo sguardo verso il basso e si avviò per il bagno. Recuperare le distanze con Dave era matematicamente impossibile, specialmente se era partito in quinta come una macchina da guerra, bucando il pavimento con i suoi passi da pressa. La porta socchiusa della camera da letto di Kevin gli balzò davanti come un'apparizione. Le lettere. Le lettere minatorie che il soldato aveva completamente dimenticato per rincorrere l'assassino non le avevano ancora viste, benché meno lette. Entrò nella stanza, non stupendosi di trovare un ulteriore disordine, peggiore della sua camera da letto negli Stati Uniti. Almeno non era l'unico. Eppure gli venne la pelle d'oca a vedere le pareti tappezzate di fotografie e la scrivania macchiata di...sangue. Annichilito, si avvicinò ad essa, notando un diario aperto accanto ad una lametta. Non ci avevano fatto caso per colpa delle maniche lunghe della vestaglia, ma leggendo le righe inerenti a quello che era accaduto due giorni fa, Kevin aveva provato a tagliarsi le vene per farla finita, pentendosene subito dopo e appuntando su carta i suoi sentimenti e il suo stato d'animo. La grafia era spedita e poco comprensibile. Noah non andò oltre, accarezzò con i polpastrelli le gocce asciutte di rosso sulle pagine; le parole che descrissero ogni oggetto in quella stanza come un'arma da utilizzare per porre fine a quella maledizione lo turbarono, perché in fila – ad uno ad uno – vi erano tutti gli strumenti che Kevin aveva usato per recarsi una ferita nuova di volta in volta; coltelli, penne, lacci, forchette, rasoi, corde. Da un lato voleva vivere, dall'altro voleva morire. Non trovando un punto d'incontro, era arrivato a farsi del male per poi rimediare intervenendo immediatamente. Chiuse il diario, puntando lo sguardo al cadavere. Nessuno lo aveva aiutato. Nella sua stranezza, anche lui era stato...evitato, lasciato a marcire, a corrompersi, compatito e incompreso. Se l'era vista da solo, rifiutando gli aiuti che ormai erano arrivati troppo tardi, quando la sua mente era diventata irreparabile. Scosse la testa, cancellando quei pensieri inutili. Spostò via il diario, dedicandosi alle lettere minatorie che erano state incollate sullo specchio sopra la scrivania. Erano state stampate; una riga, al massimo due, dove Noah lesse nient'altro che minacce. Le staccò ad una ad una, corrugando la fronte.
Ti sto osservando.
Sei colpevole.

Non puoi nasconderti.
Non puoi dimenticare chi sei.
Solo perché nessuno dei tuoi cari riesce a trovarti, non significa che io non possa farlo.
È inutile che fai finta, non puoi scappare.

Io ti sto osservando, Kevin Carter. Ti vedo, anche adesso.
Tutte e sette erano firmate.
In fondo alla pagina c'era una lettera: una Y.
Y? Pensò Noah, controllando meglio. Lo avevano destabilizzato di proposito. Quelle parole erano state scritte con la piena consapevolezza di avere a che fare un uomo instabile mentalmente; avevano voluto allontanarlo dagli Stati Uniti per attaccarlo lontano dai suoi familiari, i quali gli facevano visita ogni giorno. Avrebbero voluto spacciare il tutto per un suicidio? Con le pagine del diario e gli svariati tentativi di Kevin, nessuno avrebbe potuto sospettare di un omicidio. Parve che lui e Dave rovinarono le danze. Recuperò in fretta lo zainetto abbandonato ai piedi della poltroncina per conservare le lettere al suo interno, dopodiché si interessò alle fotografie appese al muro. Raffiguravano Kevin nei suoi giorni da soldato; alcune erano molto vecchie. Erano come una linea temporale, dagli esordi al congedo. Non erano importanti, ma fu davanti a quella in cui riconobbe Dave che Noah dovette fare un passo indietro con gli occhi. Aggrottò le sopracciglia con sorpresa, staccando la foto dall'apposita puntina per analizzarla più accuratamente.
Stentò a crederci.
Trevor.
Nicholas.
Kevin.
Gregory.
Sully.
Dave.
Erano tutti insieme nella stessa foto. Abbracciati, stavano sorridendo davanti alla fotocamera che aveva immortalato quello che per Noah era il Team Alpha. Erano giovani, rasati e in divisa, ma perfettamente riconoscibili. Si interrompeva, tuttavia, nel lato destro, proprio accanto ad un giovane Kevin, abbracciato a qualcuno, dalla quale si poteva intravedere solo un braccio. Erano di più? Un po' sbiadita e giallognola, la foto rappresentava quello che il ragazzo non aveva trovato in nessun archivio durante le sue ricerche. Aveva letto che erano stati parte del Team Alpha – Nicholas prima dell'infortunio, Trevor prima del trasferimento all'attuale Team Charlie e Kevin prima del suo ritiro – ma il motivo per il quale fossero diventati dei bersagli era un mistero. C'era qualcosa che davvero il Navy SEAL aveva nascosto? Qualcosa di cui anche Dave e quegli uomini erano all'oscuro? Altro che caso semplice per due persone; qualcosa puzzava e se anche il soldato aveva avuto a che fare con quel team significava che lui, così come Gregory e Sully, potevano essere dei potenziali bersagli di questo Y. Possibile? Non poteva essere un caso. O stava eliminando un team per poi passare ad un altro? Ma questo sarebbe stato troppo scontato; troppo banale per poter arrivare ad una conclusione. Un'organizzazione tale non avrebbe mai e poi mai potuto eliminare ogni fottuto Navy SEAL presente sulla faccia della Terra. Troppe ipotesi non concrete; la sua mente si stava attivando come un programma e stava analizzando le infinite possibilità a disposizione. Il destino di un programmatore, vivere la vita come se fosse una linea di codice. Il piede batteva repentino contro il pavimento, gli occhi che guizzavano su quell'immagine, l'unica appesa sul muro che raffigurasse l'intero team. Avrebbe potuto continuare all'infinito, stare lì immobile a dare libero sfogo alla sua capacità di calcolo intellettuale, tuttavia saltò sul posto quando udì dei tonfi prepotenti provenire dalla porta della suite.
Qualcuno la buttò giù come se fosse fatta di cartongesso. Voci rimpiazzarono il silenzio tombale; erano americane, non in lingua spagnola. A meno che il servizio in camera non avesse studiato l'americano e non si fosse allenato assiduamente per poter forzare una porta quando i loro clienti si rifiutavano di uscire, non c'era nulla che avesse potuto dire a Noah di non darsi una mossa. Posò frettolosamente dentro lo zaino anche quella foto, e si appostò all'uscio per sbirciare.
Due uomini vestiti di nero, dai volti scoperti, stavano perlustrando la stanza.

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