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Non credo che la parola 'paura' descriva pienamente il mio stato attuale, ero letteralmente in ansia da quando avevo messo piede nell'automobile, in direzione verso la Villa insieme a Josè. Quest'ultimo non aveva fiatato per tutto il tragitto, ovviamente voleva lasciarmi in silenzio, un silenzio in cui i miei pensieri avevano occupato la mia mente di idee e due ne avevo: preparare le valigie e scappare da qualche parte o affrontare Rayan, e per quanto la prima opzione fosse la più allettante, mi decisi a tenere la testa alta e affrontarlo. Inizialmente l'idea era quella.

Ero davanti alla porta della Villa, dovevo semplicemente bussare - dato che non avevo ancora una coppia della chiave - ed entrare, tutto molto semplice, ma allora perché le mie gambe e le dita delle mie mani non la smettevano di tremare? Non avevo paura ad entrare, temevo solo la persona che avrei incontrato una volta aperta la porta. E se entrassi dal garage? Ah si giusto, io non sapevo dove si trovasse il garage.

E più cercavo di pensare ad una soluzione o ad una scusa da raccontare a Rayan, più il tempo passava. Forse così tanto tempo, da non rendermi nemmeno conto che quest'ultimo era appoggiato sulla soglia della porta: indossava ancora la camicia che aveva indossato questa mattina, solamente più sbottonata e la cravatta - per cui avevo perso cinque minuti della mia vita a legargliela - era tenuta stretta nella mano destra. Perfettamente stretti nella sua vita, c'erano un paio di jeans scuri e non i pantaloni neri, e mi chiesi in quel momento perché gli avesse cambiati. "Beh?" mormorò lui, inarcando un sopracciglio. Facendomi risvegliare dai pensieri, che avevano invaso la mia mente.

"u-hm?" risposi a mia volta, alzando gli occhi in sua direzione, ma uscì più un insieme di corde vocali non coordinate, che a delle parole intente a formare una frase.

"Sei in ritardo" mi ricordò lui, battendo alcune volte due dita sul polso, nonostante non ci fosse un orologio.

"Ho anche io un orologio e so benissimo di essere in ritardo" dissi, estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans, mostrandogli lo schermo che segnava ormai le tredici e venticinque.

"Ti avevo detto di essere puntuale" aggiunse, incrociando le due braccia muscolose al petto.

"Non ho visto l'orario, okay?" risposi gesticolando con una mano, mentre con l'altra rimettevo il cellulare in tasca. "Non facciamo un dramma per quarantadue minuti di ritardo, potevi benissimo mangiare da solo"

"Ma io volevo mangiare con te, Payton" disse sospirando. "Quello arrabbiato dovrei essere io e non tu, potevi mandarmi un messaggio, almeno non avrei aspettato tanto per ricevere una ramanzina" aggiunse, appoggiando la cravatta che teneva in mano, sulla spalla.

"Scusami" risposi abbassando lo sguardo. "Te l'avevo promesso, ma ho perso la cognizione del tempo" dissi, in effetti aveva ragione, me l'ero presa con lui quando dovevo essere io quella sgridata. "Se non hai ancora mangiato, mi faresti compagnia? Sto morendo di fame" annunciai indicando la pancia, mentre gli rivolgevo un sorriso di scuse.

"Te l'ho detto, ti stavo aspettando per mangiare, a tavola manchi soltanto tu" disse. "Ed ora entra, congelerai rimanendo ancora qui fuori" aggiunse sfregandosi un braccio con la mano, per poi porgemela in mia direzione, quindi mi limitai semplicemente a stringergliela e a farmi trascinarmi dentro casa. Perché in qualche modo, quell'enorme cemento ricoperto da vetrate, era diventata anche casa mia.

^~^

Non c'era niente di più rilassante, che sentire scorrere l'acqua calda su tutto il corpo, dopo le ondate d'aria fredda che mi ero beccata per tutta la mattinata, era gratificante. E mentre canticchiavo - in un'intonazione vietata ai minori - Skinny Love, inclinavo la bottiglietta del bagnosciuma in una mano, per poi insaponarmi, sciaquarmi, uscire ed asciugarmi.

Erano ormai le quattro del pomeriggio, quando tornai in camera con indosso un pigiama azzurro decorato da pinguini, ricordandomi solo in quel momento che avevo delle relazioni da svolgere, dato che ero rimasta tutta la settimana fuori. Presi gli appunti che mi aveva dato Jacob  alla caffetteria, dalla borsa, per poi dirigermi verso il grande letto matrimoniale e sedermi sopra ad esso. "Allora, William Shakespeare nacque nell'aprile del 1564 e morì nel tre maggio del 1616" incominciai leggendo a voce alta, mentre tenevo i fogli fra le mani. Jacob era davvero bravissimo a scuola, e lo si poteva capire dai suoi ottimi voti e da come prendeva gli appunti, se non fosse stato per lui e per questi fogli, forse in questo momento sarei andata nel panico. "E' stato un drammaturgo e un grande poeta Inglese, considerato grande scrittore di quest'ultima lingua" continuai e pensai che se Shakespeare fosse stato ancora vivo, gli avrei urgentemente chiesto delle ripetizioni di Letteratura, che grand'uomo è stato. "Hamnet, Susanna e Judith erano i nomi dei suoi tre figli, ma solo Hamnet prese il cognome del padre" lessi a voce alta, le due righe che Jake aveva evidenziato. "Come mai solo lui prende il cognome?" mi chiesi, appoggiando i fogli sopra alle gambe incrociate.

"Perché Hamnet è stato l'unico figlio maschio, fra William Shakespeare e sua moglie Anne Hathaway" rispose una voce, che rieccheggiò in tutta la stanza.

"Ah ecco" mormorai, riguardando i fogli. "Ma non dovevi finire del lavoro per tuo padre?" Chiesi rivolgendomi a lui, per poi chiedermi mentalmente come avesse fatto ad entrare in camera, senza che io me ne accorgessi.

"Mi sono preso una pausa" rispose stringendosi nelle spalle. "Allora, ti serve una mano con lo studio?" Mi chiese, dirigendosi verso di me.

"Come se tu capissi qualcosa" dissi alzando gli occhi al cielo, portandomi con le dita una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

"L'ho già fatto questo argomento, e poi non sono io ad rimasto ancora indietro con lo studio" rispose sorridendo leggermente, per poi stendersi nel letto al mio fianco.

"Grazie per avermelo fatto notare" dissi agrottando la fronte, se non recuperavo immediatamente Letteratura, non osavo pensare alle conseguenze. "Beh, non è che vuoi aiutarmi?" Gli chiesi, con la faccia più tosta che potevo usare. Prima gli davo dello stupido e poi gli chiedevo una mano, la coerenza.

"Mi stai chiedendo una mano con lo studio, Mrs Johnson? " Chiese appoggiandosi su un fianco, mentre inarcava un sopracciglio.

"Dai Rayan, ho quattordici ore per imparare tutto questo" risposi indicando con un dito, il blocco di fogli che tenevo in mano.

"Okay okay" disse mettendosi a sedere. "Dammi qui, ti sottolineo le parti principali e tu intanto leggile e ripetile ad alta voce. Mi prendi un evidenziatore?" Aggiunse dopo aver dato un occhiata agli appunti di Jacob.

Annuii, alzandomi dal letto e andando in direzione del mio zaino, che si trovava vicino alla cabina armadio. Mi limitai ad inginocchiarmi, aprire lo zaino e cercare dentro ad esso l'astuccio rosso della Seven. "Giallo, azzurro o arancione?" Gli chiesi, girandomi a mostrargli i tre evidenziatori che tenevo in mano.

"Fa differenza?" Mormorò, con lo sguardo ancora sui fogli. Alzai gli occhi al cielo, per poi scegliere quello arancione e tornare da lui. Quella frase in qualche modo aveva il suo senso, alla fine, io finivo sempre col tornare da Rayan. "Forza, siediti qui" aggiunse, dando due colpi con un palmo della mano, invitandomi a tornare a sedermi al suo fianco. "Allora, William Shakespeare.." iniziò una volta accomodata a gambe incrociate, avevo la sensazione che sarebbe stato un lungo pomeriggio.

Schiava Di Un MiliardarioWhere stories live. Discover now