45. Parte Terza

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Nuovamente seduta nel lettino della mia stanza dell'Ospedale, restai a guardare l'infermiera intenta a medicare Rayan con dell'acqua ossigenata e con un paio di cotone, facendo scomparire le macchie rosse che minuti prima si trovavano sul suo volto. Quest'ultimo invece continuava ad imprecare sottovoce e a rivolgere occhiate alla signora, ogni qual volta che faceva pressione su alcune ferite. Stringeva le dita delle mani in due pugni e serrava fortemente la mascella con i bianchissimi denti, per trattenersi dal dire qualsiasi cosa decisamente fuori luogo.

"Resti fermo qui, vado a prendere una fascia per coprirle le ferite nelle sue mani. Miracomando, non si muova." Lo avvertì l'infermiera, alzandosi dallo sgabello su cui si era seduta precedentemente e dopo aver lisciato la gonna della divisa con i palmi delle mani, accennò un gesto del capo per poi dirigersi fuori dalla stanza.

"Come se potessi muovermi." Mormorò Rayan, ancora seduto sul bordo del mio letto. Teneva le gambe a penzoloni e le mani appoggiate alle ginocchia, toccando quest'ultime con le dita con fare nervoso. Aveva il capo chino e gli occhi fissi su un punto - non definito - del pavimento altrettanto bianco.

Era da quando lo avevo incontrato nel corridoio ricoperto dalle profonde ferite e dai lividi sul viso, dopo aver visto suo nonno disteso in un lettino ridotto allo stesso modo, che mi ero posta alcune domande. Possibile che entrambi i casi coincidessero?

Rayan non passava facilmente alle mani con qualcuno, non era un ragazzo violento. Ma sicuramente era uno di quelli che perdevano facilmente la pazienza e se Mr Johnson - suo nonno - centrasse in qualcosa o avesse fatto una mossa sbagliata da far irritare Rayan, quest'ultimo non avrebbe esitato un secondo. Lo conoscevo bene, dopotutto era scontato conoscere il proprio marito. "Ray, cos'è successo?" Provai a chiedergli gentilmente, non sapevo di che umore fosse in quel momento e non avrei voluto trovarmi davanti lo stesso Rayan arrabbiato di qualche minuto prima.

Non avevo più visto quello sguardo spento e oscuro da quando mi aveva raccontato quella famosa sera, del suo allontanamento nell'estate della terza media. Era successo qualcosa di molto grave, ne ero più che sicura.

"Rayan.." Sussurrai ancora una volta il suo nome, con l'intenzione di attirare nuovamente la sua attenzione. Ricevendo però una reazione improvvisa e inaspettata.

Alzò velocemente il capo in mia direzione e senza perdere tempo inchiodò, le sue iridi azzurre sui miei occhi. Mi sentivo come se stessi per affrontare un lunghissimo interrogatorio, al quale non ne sarei uscita vincitrice. "Perchè cazzo non mi hai detto che un fottuto psicopatico ti stava continuamente inviando dei messaggi in anonimo?" Domandò, il tono di voce era leggermente più alto del solito.

Come faceva a sapere dei messaggi? Mi domandai mentalmente, abbassando lo sguardo per sfuggire al suo, cercando di guardare ovunque ma non lui. E fu allora che mi accorsi dell'assenza del mio cellulare e imprecando contro me stessa, mi diedi mentalmente della stupida.

Sospirai, ormai la verità era venuta a galla e non volevo nemmeno sapere come fosse riuscito ad avere il mio cellulare, o a come fosse riuscito ad intrufolarsi nelle mie cose private. Oh, a proposito di quest'ultimo dettaglio. "Chi ti ha dato il permesso di prendere il mio cellulare e di curiosare all'interno?" Gli chiesi inarcando un sopracciglio, mentre stringevo le braccia sotto il seno.

"Non provare a cambiare argomento Payton, se non lo avessi fatto, se non avessi curiosato - come mi stai accusando - nel tuo cellulare, ora il psicopatico di mio nonno non verrebbe arrestato come dovrebbe. Quell'uomo ha provocato un inferno alle persone che mi stavano intorno, ora riceverà quel che si merita. E Dio, se me ne avresti parlato di questo fatto già dall'inizio, avresti potuto evitare moltissime cose. Ne sei consapevole Payton?" Mi rimproverò con lo stesso tono di voce, facendomi sussultare.

Schiava Di Un MiliardarioWhere stories live. Discover now