23. Parte Seconda

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Rabbridivii nello stesso istante in cui il mio sguardo incrociò quello di Rayan, che in piedi sulla soglia della porta, mi guardava.  Ma nel suo sguardo c'era qualcosa di diverso, non erano gli stessi occhi luminosi e vivaci di ogni giorno, questa volta sembravano carichi di odio, o forse rabbia? "Allora Payton, rispondimi!" continuò alzando di gradi la voce, facendomi sobbalzare ed abbassare lo sguardo sul pavimento. Mi stava facendo paura.

"Ecco i-..io non trovavo la strada pe-..per scendere giù, so-..sono capitata qui e mi di-..dispiace, non volevo curiosare o farmi gli affari tuoi" cercai di giustificarmi, nonostante metà delle parole fossero uscite come un balbettio.

Mi guardò con netto sospetto, e dopo aver capito che non ero venuta lì di proposito - nonostante fossi stata in quella stanza per ben due volte e per puro caso - sospirò, appoggiando una mano sulla porta per poi sforzare un sorriso. "Dai, andiamo giù. Sei in ritardo come al solito" disse, e notai come la sua voce si fosse abbassata notevolmente.

A tavola non avevo osato dire una sola parola, perché nonostante fossi ancora arrabbiata con lui per questo pomeriggio, ero anche impaurita. Io, non avevo mai visto Rayan in quel modo: il suo sguardo era come oscuro, mi aveva guardata carico di rabbia. La sua voce, lui non aveva mai alzato la voce con me e il modo in cui i suoi muscoli si erano contratti mentre stringeva la mascella, aspettando una mia risposta, mi aveva spaventata a morte. "Sei ancora arrabbiata con me?" chiese, interrompendo il silenzio che si era creato a tavola, dato che nessuno dei due aveva parlato.

"No" risposi. "Sono spaventata" ammisi, la mia voce uscì quasi come un sussurro.

"A causa mia?" chiese, fermando la forchetta che si stava per portare alla bocca.

"Non lo so, cioè si, Dio! Rayan non ti ho mai visto con quello sguardo" risposi, per poi bere un po di coca-cola che minuti prima avevo versato nel bicchiere.

"Non volevo spaventarti, mi dispiace" si limitò a rispondere, ma io non volevo le sue scuse, volevo sapere solamente perché si era arrabbiato quando mi aveva visto in quella stanza. Mi nascondeva qualcosa? Era la domanda da un milione di dollari, che mi stavo ponendo.

"Ma lo hai fatto" sbottai.

"E' solo che-.." parlò. "Payton, non voglio più che tu entri in quella stanza. Okay?" chiese girando la testa in mia direzione, per poi incastrare il suo sguardo nel mio.

"Perché?"

"Non lo voglio e basta" mormorò.

"Altrimenti?" chiesi, volevo saperlo, morivo dalla voglia di sapere cosa ci fosse di così importante in quella stanza, in fondo era come tutte le altre.

"Mi stai sfidando?" rispose con un altra domanda, inarcando un sopracciglio.

"Voglio solo saperlo, Rayan." dissi, praticamente piagnucolando.

"Non c'è nulla che devi sapere, stai alla larga da quella stanza e fine della conversazione" concluse, per poi masticare la carne al forno e chiudere il discorso.

Cosa c'era di così importante da non volermelo dire? Cosa mi stava nascondendo? E quanto avrei voluto un Detective Conan, per rispondere alle mie domande.

^~^

"Secondo voi, per far durare la storia fra Romeo e Giulietta, cosa avreste fatto? O, avreste modificato qualcosa nella storia?" ci chiese il professore di Letteratura, dopo aver concluso la lettura di un opera di Shakespeare.

"A mio parere sono stati entrambi due incoscienti." parlò una compagna, che si trovava nel banco davanti al mio. "Far finta di essere morta? Morire subito dopo aver visto la donna che ami, stesa fra le tue braccia? Ma scherziamo? Esiste una cosa che si chiama 'rifarsi una vita" aggiunse, gesticolando con la mano. Era abbastanza alta, tanto da coprirmi completamente la visuale della classe. Da una parte serviva a coprirmi dalla prof, quando dovevano interrogare.

"Rifarsi una vita?" le chiese il professore, sedendosi sopra alla cattedra, lo faceva sempre quando poneva domande alla classe.

"Si, ad esempio se Giulietta fosse morta per davvero, io al posto di Romeo sarei stata un attimo con il povero cadavere, come succede nei film. Se l'avesse fatto, avrebbe capito che non era morta. Oppure, dopo il funerale di lei, mi sarei sposata con un altra donna o se fosse nel caso di Giulietta, mi sarei trovato un altro. Okay, il tuo amato/a è morto/a ma fatene una ragione" rispose - Martina - la mia compagna. Era di origini Italiane e il suo accento da finto Americano, mi piaceva un casino. "La vita va avanti. Morto un Papa se ne fa un altro."

"Chi altro la pensa come la Signorina Rutto?" chiese il Prof, guardandoci uno ad uno.

"E' Russo Prof, e non rutto!" borbottò la ragazza, appoggiando un gomito sopra al banco e la testa sopra la mano.

"Ed io cos'ho appena detto?" disse il Prof, facendole alzare gli occhi al cielo e facendo ridacchiare la classe. "Allora, altri pareri?" chiese, aspettando che qualcuno di noi si facesse avanti per esprimere un commento. "Williams?" domandò, guardando in mia direzione.

Ditemi che stava guardando il muro? Ah sì giusto, il muro non era un alunno della classe. Fantastico! Pensai.

"Ehm-.." mormorai, ma grazie a qualche Santo fui salvata dal suono della campanella. Per un pelo!

"Sentirò il tuo parere la prossima volta, voglio un commento da cinquecento parole e che lo presenti alla classe Giovedì" annunciò alzandosi dalla cattedra, per poi prendere in mano la sua borsa verde scura e alcuni vecchi libri.

Che mi ero persa? "Arrivederci ragazzi" disse, uscendo dalla classe.
Cinquecento parole, scherzava?

E mentre brontolavo su quello che avrei dovuto scrivere e su come fossi arrabbiata con Shakespeare - per aver ideato quest'opera - rimettevo il materiale sullo zaino. Le prime ore erano finite - finalmente - e con in testa ancora l'intenzione di parlare con Alex, mi incamminai fuori dalla classe per cercarlo nel grande Istituto.

"Signora John-.." salutò quest'ultimo, una volta che lo ebbi trascinato per il polso fuori in cortile. Nascondendo le mani nelle tasche dei pantaloni grigi della tuta, e sfoderando un sorriso bianchissimo.

"Non chiamarmi in quel modo, dai, non metterci anche tu" mi lamentai, passandomi una mano sui capelli.

"Stavo scherzando, devo dire che mi avete sorpreso" disse Alex, appoggiandosi con la schiena alla colonna di cemento blu, alle sue spalle. "Sapevo che tu e Rayan eravate la piccola coppia inseparabile, ma arrivare a sposarvi? Touch Down, Signori Johnson" aggiunse, accompagnato da una leggera risata. Quasi sardonica.

"Non prendermi in giro, Mr-topo-di-biblioteca" lo rimproverai. "Ti prego Alex, non dirlo a nessuno, non voglio che nessuno lo sappia"

"Perché?"

"Non voglio essere conosciuta come la moglie di Rayan, non voglio essere sottomessa ai pettegolezzi. Per favore" gli chiesi sospirando, mentre alzavo lo sguardo in sua direzione.

"Pensavi davvero che l'avrei detto a tutti quanti, non appena l'avessi saputo?" chiese, inarcando un sopracciglio. "Non lo farò, stai tranquilla. Non sono più il ragazzino antipatico di un tempo, non più." mi rassicurò in fine.

"Dio, grazie!" esultai, con un sorriso enorme.

"Però, mi devi un favore" aggiunse, staccandosi dalla colonna. Perché - ovviamente - se vuoi ottenere qualcosa, non te la regalano gratis.

"Un favore?" chiesi, agrottando la fronte. "L'avevo detto io che non eri cambiato" mormorai. "Che cosa vuoi in cambio, Alex?"

Si inchinò in direzione del mio viso. "Ogni cosa al suo tempo" sussurrò al mio orecchio. "Ci si rivedere in giro, Williams Johnson" disse, salutandomi con una mano, per poi sparire in corridoi per dirigersi in classe.

Feci una smorfia.
Quel favore non prometteva niente di buono.

Schiava Di Un MiliardarioWhere stories live. Discover now