5. L'ultima sigaretta

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Ollie

La mattina seguente non andai a studio e annullai tutti gli appuntamenti. Non avevo chiuso occhio per tutta la notte.

Dopo essere stati cacciati dalla sua stanza, Penelope mi aveva trascinato via dall'ospedale. Aveva paura che la mamma di quella ragazza potessi farmi del male fisico e non aveva tutti i torti.

Se sua figlia si trovava in un letto di ospedale con il viso sfigurato, era colpa mia.

Fuori l'ospedale, Ben e Noah ci stavano aspettando in macchina e, quando ci chiesero notizie, nessuno dei due rispose. Avremmo entrambi faticato a dimenticare il viso tumefatto di quella ragazza.

Per non parlare del suo occhio...

Eravamo tornati a casa alle prime luci dell'alba e, anche se erano quasi le quattro del pomeriggio, avevo la sensazione che fosse passato ancora troppo poco tempo dal momento in cui Emma Cooper si era messa in mezzo beccandosi un destro in faccia al posto mio.

Pensai a Max e il bisogno sfrenato di spaccargli la faccia aumentò a dismisura. Avrebbe dovuto esserci lui su quel letto di ospedale, con la faccia tumefatta a sgorgare sangue dall'occhio.

Mi alzai dal letto e scesi al piano di sotto. In cucina trovai Penelope, Noah e Ben. Stavano parlottando tra di loro ma smisero non appena mi videro.

«Come ti senti?». Mi domandò Noah cauto.

«Bene. Mi preparo e vado a studio».

Aprii il frigo e pescai la prima cosa commestibile che mi trovai davanti. Come sempre era vuoto, come il resto di questa casa.

«Dovresti andare a trovare quella ragazza».

Scoccai un'occhiataccia a Penelope e non risposi.

Penelope sbuffò incredula. «Ollie, quella ragazza si trova in una stanza di ospedale a...».

«A causa mia?». Domandai mentre prendevo posto vicino a Ben. Poi, iniziai a mangiare incalzato dallo sguardo di rimprovero di mia sorella.

«Non è stata colpa tua, ovviamente. Si è messa in mezzo e non riesco a trovare un solo motivo per cui lo abbia fatto».

«Forse è stata spinta». Suggerì Noah.

Ben afferrò il suo telefono abbandonato sul tavolo e lo sbloccò. «Non è stata spinta da nessuno. Dal video si vede chiaramente che...».

«C'è anche un video?». Domandò Penelope sistemandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio costellato di piercing.

Ben aggrottò la fronte. «Un video? Ce ne sono almeno una decina che girano. Guarda, questo è il migliore. Intendo per l'inquadratura». Si giustificò davanti le espressioni costernate di Penelope e Noah. «Ha fatto più di quindicimila visualizzazioni in un'ora. Comunque, si vede chiaramente che non viene spinta. Si è messa lei in mezzo, come se volesse parare il colpo».

Ben passò il telefono a Penelope, che iniziò a studiare il video insieme a Noah. Io continuavo a mangiare indifferente.

«È vero. Sembra che ti voglia fare da scudo». Noah girò lo schermo verso di me affinché potessi vedere anche io, ma lo ignorai.

«Comunque». Penelope riprese la parola. «Anche se non è colpa tua, dovresti comunque andare. Lei è...».

«Quasi morta dissanguata». Convenne Ben con gli occhi fissi sul video riprodotto il loop. «Ma quando non è presente sua madre!». Aggiunse e io capii che Penelope aveva raccontato loro tutto per filo e per segno.

«David ti ha risposto?». Domandò Penelope a Ben.

Ma bene! Mia sorella aveva deciso che la questione dovesse assumere rilevanza internazionale e la notizia raggiungere l'altro capo del mondo.

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora