13. La rissa

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Emma

Quando Davis arrivò in spiaggia, avevo smesso di sperare che Ollie venisse a rivolgermi la parola. Shinhai mi aveva trascinato via, piazzandomi il più lontano possibile dallo spettacolo di quei due che ci davano dentro in acqua. Per questo, non riuscivo più a scorgere Ollie, Sutton né nessun altro del loro gruppo.

Davis notò la mia espressione corrucciata. «Cos'hai? Stai ancora dietro a quel tipo?».

Incrociai le braccia. «Davis, non rompere anche tu. Posso crogiolarmi nel dolore di un amore non corrisposto?».

Davis fece spallucce, mentre con il movimento della mano faceva ondeggiare la bottiglia di birra come se fosse un calice di vino pronto a essere degustato. «Certo che puoi».

Sospirai. «Vado a prendere qualcosa di analcolico da bere».

Davis scoppiò a ridere ma subito si bloccò davanti la mia espressione confusa. «Non era una battuta?».

Inarcai le sopracciglia. «No!».

«Buona fortuna, allora». Mi disse prima di portarsi la bottiglia alla bocca e bere la birra restante.

Fu una vera impresa trovare qualcosa di sigillato e analcolico. Ma, quando lo trovai, la soddisfazione lasciò posto allo smarrimento: avevo perso i miei amici, che si erano spostati senza avere la compiacenza di avvertirmi.

Camminavo guardinga, attenta a scorgere una testolina da secchione o una cascata di capelli neri e lisci, ma di Shinhai o Davis sembrava non esserci traccia. Mi facevo largo tra la folla a suon di scuse e permessi ed ero quasi riuscita a uscire dalla bolgia, quando qualcuno mi venne addosso.

La collisione mi fece perdere l'equilibrio e, se riuscii a tenere miracolosamente me stessa ancorata a terra, ciò non accade per la bevanda analcolica che tenevo in mano, che finì tragicamente versata sul pantalone del ragazzo che ebbe la sfortuna di capitarmi davanti.

Quando abbassai lo sguardo, vidi che la stoffa dei suoi bermuda aveva cambiato colore.

Mi portai una mano alla bocca. «Oh, mi dispiace tantissimo».

Stavo fissando con espressione colpevole i suddetti pantaloncini che da marrone chiaro erano diventati marrone scuro e, quando alzai lo sguardo, un ragazzo mi stava fissando innervosito.

«Tranquilla». Mi rispose seccato ma la sua espressione si rabbonì quando notò la pelle rovinata delle mie braccia.

«Sembra che ti sia fatto la pipì sotto». Gli feci notare con voce intrisa di sensi di colpa.

«Sì, grazie. Proprio quello che non volevo sentire».

Mi sistemai i capelli dietro le spalle per liberare le braccia da quei tentacoli che l'umidità aveva fatto diventare appiccicosi e ingombranti. «Aspetta, ti aiuto».

Presi il pacchetto di fazzoletti dalla borsa e, dopo averne estratto uno, mi chinai per iniziare a tamponare il lago che avevo causato.

«Tranquilla, non ce ne è bisogn...».

Troppo tardi.

Come troppo tardi mi resi conto di stare a tastare il suo pacco bagnato dalla mia bevanda analcolica.

«Emma, che cazzo stai facendo?». L'inflessione di Shinhai non rendeva giustizia alla sua espressione scandalizzata. Aveva gli occhi così strabuzzati che rischiavano di uscire fuori dalle orbite.

Subito ritrassi la mano. Questa volta il sangue, invece di sgorgarmi da un occhio, fluiva vergognosamente sulle mie guance. «Sono terribilmente dispiaciuta. Non volevo palparti, giuro!».

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now