22. La visita

683 48 10
                                    

Ollie

Scesi dalla macchina poco convinto. Ormai avevo l'impressione che quella non fosse più la casa in cui ero abituato a vivere, e non solo per il fatto che era pulita e ordinata. Non ero abituato a trovare qualcuno al mio ritorno.

Chiusi lo sportello più forte del solito e mi rivolsi al mio amico. «Avrei preferito passare il mio pomeriggio libero a surfare piuttosto che stare là dentro».

Ben non mi diede ascolto, era troppo impegnato a essere divorato dalla curiosità. La prima cosa che aveva fatto quella mattina, dopo aver aperto gli occhi, era stato scrivermi che sarebbe andato a trovare la mia nuova coinquilina. Così, l'avevo costretto ad aspettarmi.

«Non rompere, Ollie. Penelope mi ha detto che questa mattina, quando ha aperto la porta, ha seriamente pensato di aver sbagliato casa. Voglio vedere, cazzo! E quello?». Mi domandò indicando un mobile che giaceva abbandonato su un telo bianco nel piccolo giardino davanti casa.

Alzai le mani come a rispondere che non ne avessi alcuna idea e Ben sogghignò ancora di più. Ci mancava solo che si sfregasse le mani per l'euforia.

La notizia che Emma, la Ragazza farfalla, ora abitasse a casa mia lo aveva reso ancora più esaltato di quanto già non fosse normalmente.

Percorsi il vialetto con lo stesso animo di un condannato a morte accanto a Ben che invece non stava più nella pelle.

«Porca puttana!». Esclamò quando aprii la porta di ingresso.

Anche Ben faceva fatica a riconoscere quella casa. Entrò falcando a grandi passi l'ingresso e, in soggiorno, iniziò a girare su stesso posando lo sguardo ovunque gli fosse possibile. Io assistevo alla scena con la schiena poggiata al muro e le braccia conserte, attendendo il momento in cui avrei rimesso piede fuori.

Ben era senza parole e la cosa mi meravigliò, ma le ritrovò subito quando Emma sbucò dalla cucina.

«Ragazza farfalla!». La salutò facendole l'occhiolino.

«Ben, Ollie!». Il suo voltò si illuminò quando pronunciò il mio nome, il mio invece si incupì ancora di più. «Non pensavo saresti tornato così presto. Giuro che poi metto tutto a posto».

Non riuscii a non squadrarla da capo a piedi. Anche questa volta era vestita con indumenti che non le si addicevano per niente. Indossava una salopette beige da cui fuoriusciva una t-shirt bianca decisamente troppo grande.

La ignorai, come facevo il più delle volte.

«Che stai combinando?». Le domandò Ben.

«Ho iniziato a restaurare il mobiletto che stava all'ingresso. I mobili di questa casa sono tutti di legno». Esclamò entusiasta. «Sapete quanto è difficile trovarne ormai? Cioè, si trovano ma costano anche tanto. E non spenderei tutti quei soldi per comprare un mobile di legno se tanto poi voglio metterci mano. Comunque, quello». Indicò il mobile della tv. «È ciliegio. Mentre quello». Indicò questa volta quello sotto la finestra. «È pino. Non vedo l'ora di trattarli».

Ben aveva ascoltato con interesse e ora aveva assunto la tipica espressione da "inizierò a fare domande perché non so farmi i cazzi miei".

«E ora di cosa sono fatti i mobili?».

«Truciolato. E ti assicuro che scartavetrare un mobile di truciolato è come usare la grattugia con il gelato. Inoltre, non ci sarebbe nessuna soddisfazione a farlo. A me piacciono i mobili vecchi, logori e rovinati, che hanno una storia alle spalle ma che son disposti ad iniziarne una nuova».

«Quindi ristrutturi mobili?».

Emma annuì trionfa. «Sì, mi piace molto. È una passione che ho».

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora