27. I pesci

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Ollie

Mi ero sentito tremendamente stupido al negozio di animali.

Come Emma, neanche io avevo mai avuto un animale domestico, non considerando la bestia che avrei dovuto definire padre, ma lui era tutto fuorché domestico.

Inoltre, non ne avevo mai desiderato uno. Il solo pensiero di badare a un altro essere vivente mi faceva venire la nausea.

Quando entrai in casa, Emma era seduta per terra di fronte al tavolino del soggiorno che aveva finito di restaurare il giorno prima. Quando me lo aveva mostrato, aveva fatto fatica a contenere l'entusiasmo, neanche avesse scoperto i misteri che si celano al di là di un buco nero.

Avrei dovuto complimentarmi con lei visto che aveva fatto davvero un ottimo lavoro, e lo avrei fatto, forse, se non fosse che mi sembrava così sbagliato dare una seconda possibilità a quella casa e ai suoi abitanti. Così, l'avevo ignorata ed ero salito in camera mia, lasciandola da sola.

Era china sul suo iPad avvolto in una cover gialla, ed era intenta a trafficare con l'apple pencil a ritmo della canzone che stava canticchiando, questa volta in un'altra lingua. Sembrava spagnolo.

Rimasi un po' in piedi in corridoio ad osservarla. La mano destra che teneva la pencil si fermava solo per permettere alle sue spalle di essere mosse, trascinate dal ritmo reggaeton della canzone.

Avrei dovuto mettere il divieto assoluto di ascoltare quel genere di musica da balli sulla spiaggia, ma vederla dimenarsi, convinta di essere sola in casa, era divertente. Inoltre, quell'accento spagnolo era quasi sexy.

Si accorse di me solo quando mi piazzai dall'altra parte del tavolino. Quando i suoi occhi grigi mi intercettarono, smise all'istante di scuotere le spalle e due rossi ormai familiari colorarono le sue guance.

«Rosalìa è una delle mie cantanti spagnole preferite». Mi spiegò e il modo in cui pronunciò quel nome mi provocò una scossa alle parti basse. «Tamara mi chiama bizcochito, come il titolo di questa canzone. Significa muffin. Mi chiama così perché volta ho fatto indigestione di muffin rischiando la lavanda gastrica. Ma a te non interessa... Scusa». Si scusò davanti la mia espressione che, come ogni volta, cercava di essere seria quanto indispettita. «Cos'hai là?».

«Il tuo animale domestico!». Posai sul tavolino la busta di plastica dove una palla rossa stava nuotando.

Quando misero a fuoco, gli occhi di Emma si illuminarono. «Mi hai preso un pesce?».

«Non morde e non graffia. Non ti farà sembrare reduce di un attacco da parte di un grizzly». Risposi non badando alla canzone di Doja Cat appena iniziata.

Quella ragazza aveva dei gusti musicali davvero eclettici. Non l'avevo mai sentita pronunciare una parolaccia e immaginarla canticchiare quella canzone mi risultò difficile.

Emma poggiò il mento sul tavolo, intenta a osservare il suo nuovo amico. Vedevo i suoi occhi grigi ingranditi dall'effetto dell'acqua.

«È maschio o femmina?». Mi domandò mentre la sua pupilla lo seguiva attenta.

«Non ne ho idea».

Si tirò su, riprendendo a guardarmi dal basso. «Non soffrirà di solitudine?».

«È un pesce rosso. Avrà due sinapsi per miracolo».

La mia spiegazione non sembrò convincerla. «Come possiamo chiamarlo?»

Scrollai le spalle. «È tuo. Fa' come vuoi».

Emma tornò a guardare il suo pesce rosso. «Ha proprio la faccia da Romeo». Ammise convinta. «Solo che gli serve la sua Giulietta, e anche un acquario o quantomeno una di quelle palle di vetro».

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now