49. Il Principe delle Tenebre

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Emma

«Hai da preparare due relazioni e una presentazione. Torna su questo pianeta e impegnati, altrimenti ti laurei l'anno del mai».

Il rimprovero di Shinhai sarebbe suonato minaccioso, se non fosse che eravamo immerse nel caos di un tipico venerdì sera al Dylan & Dog.

Eravamo riuscite ad aggiudicarci due sgabelli al bancone, che avremmo occupato ancora per poco. Gli altri ci stavano aspettando al tavolo e, finita la mia opera d'arte culinaria, li avremmo raggiunti.

Quella mattina, avevo fatto un'accordo con la mia amica: io sarei stata seduta per almeno cinque ore su una scomodissima sedia di legno della biblioteca del campus e lei sarebbe venuta prima a casa di Ollie per ammirare la piccola magia che avevo fatto nella stanza dove dormivo e poi al Dylan & Dog.

«Lo so. Ma non è colpa mia se non smetto di pensare a Ollie». Risposi sbrigativa mentre, con uno stuzzicadenti, cercavo di mischiare gli ingredienti della mia salsa speciale.

Quello stesso pomeriggio, avevo avuto la prima conversazione telefonica con Ollie da quando lo conoscevo e ancora risuonava poetica nella mia testa.

Era andata ben oltre le mie aspettative, soprattutto perché lui chiuse la chiamata con una frase che mi piaceva molto più dell'intruglio che stavo preparando.

Andò più o meno così.

Dopo tre squilli, bastò la sua voce a ridestare tutti i miei organi interni.

«Emma».

Potente sorriso.

«Ti disturbo?».

«No».

E già con questo no il mio pancreas aveva fatto una capriola su se stesso.

«Cosa stai facendo?».

«Sto tatuando la tempia di un tizio».

«Ah. Sembri un tantino impegnato, in verità».

Si susseguirono vari rumori, tra cui quello elettrico degli aghi e quello che sembrava proprio un lamento di dolore e sofferenza.

«Dimmi, Emma».

Altro doppio carpiato in avanti del mio intestino. Mi faceva veramente sbarellare il mio nome scandito dalla sua voce.

«Sì, ecco, volevo chiederti se potesse venire Shinhai a casa tua».

«Non hai bisogno di chiedere il permesso».

E con il salto mortale dello stomaco, il mio apparato digestivo era ormai pronto per le olimpiadi.

«Oh, okay, grazie. Torni per cena?».

«Faccio tardi». Altro gridolino di dolore. Forse, la tempia era abbastanza dolorosa come zona da tatuare. «Ho un appuntamento fuori orario e sarà una cosa lunga».

«Okay. E poi andrai al Dylan & Dog?».

«Tu ci andrai?».

«Sì, con Shinhai».

E poi successe. Mi disse proprio quella frase.

«Okay, allora ci vediamo lì. A dopo».

Il pancreas, l'intestino e lo stomaco erano sul podio a godersi i trionfi dei loro prestigi ginnici.

«Sì, a dopo. Buon lavoro».

Chiusi la chiamata con un sorriso di cui portavo ancora le tracce sul viso.

Presi la mia salsa speciale e iniziai a cospargerla sulle patatine. «Comunque, ancora non mi hai detto cosa ne pensi».

«Che dovresti farti pagare». Rispose Shinhai senza staccare gli occhi dalle mie mani che iniziarono a trafficare con le noccioline. «Visto che gli hai ristrutturato casa. Che schifo, Emma! Ma cosa stai facendo?».

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora