43. Il regolamento di conti

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Emma

Sedute sugli spalti del campus, io e Shinhai stavamo ammirando i giocatori della squadra di football allenarsi. Eravamo giunti ormai a quella parte di allenamento in cui quasi tutti erano sudati da far schifo e per questo senza maglietta.

Anche se Shinhai non riteneva i ragazzi degni della sua considerazione, non privava mai i suoi occhi di godere a pieno dello spettacolo offerto da un corpo definito, muscoloso e reduce di un allenamento così estenuante da far pompare quel ben di Dio oltre misura.

Secondo lei, il problema era il contenuto, non il contenitore. Di contenitori ne avrebbe fatto scorta a vita.

Io, invece, non avevo mai avuto problemi né di contenuto tantomeno di contenitore, soprattutto se l'etichetta applicata sopra riportava la dicitura  "Ollie. Da consumare preferibilmente a oltranza". Anche perché, ultimamente, mi stava piacendo molto di più il contenuto del contenitore.

«Dovresti scrivere un libro». Se ne uscì di punto in bianco Shinhai con lo sguardo ancora fisso sul campo da football.

Infilai un M&Ms in bocca e iniziai a succhiare. «Dici?».

«Io lo comprerei. La tua vita sta diventando più interessante di una serie Netflix. Sei stata rapita, salvata, baciata selvaggiamente, hai fatto un tatuaggio e poi hai avuto il tuo primo orgasmo sulla poltrona di uno studio di tatuaggi. Cavolo, Emma, se lo comprerei. Anche solo per capire come andrà a finire».

Anche io lo avrei comprato solo per leggere l'ultima frase dell'ultima pagina.

«Sì, ma lo pubblicherei con uno pseudonimo. Se mia mamma sapesse tutte queste cose...». Rabbrividii al pensiero.

«Tu la mente e tuo padre il braccio».

«Dovrei farlo scrivere da mio padre?». Domandai incredula voltandomi verso Shinhai.

Anche lei si era voltata verso di me e ora mi stava guardando con le sopracciglia vertiginosamente inarcate. «Tu non sei in grado di scriverlo. Ti ricordi? Regina della tautologia. Prendevi sempre D ai saggi».

«Non posso far scrivere a mio padre che Ollie mi ha fatto...». Riflettei sul modo più appropriato per esprimermi. «Godere sulla sua poltrona per tatuaggi. Gli prenderebbe un colpo».

«Nah». Shinhai scacciò via quell'insinuazione con un gesto della mano. «Gli scrittori sono pronti a tutto. Comunque, come siete rimasti?».

«In che senso?». Le chiesi prima di ingurgitare un altro M&Ms. Poi le passai il pacchetto quasi terminato e lei fece una smorfia contrariata.

«Nel senso: che cosa è successo dopo? Te le sei finite, cavolo!». Si lamentò e io scrollai le spalle.

«Niente. Dopo aver recuperato l'orecchino di Sutton dallo scarico del lavandino, ognuno è andato in camera sua e buonanotte». Le spiegai amareggiata. «Durante il weekend, l'ho incrociato solo un paio di volte e di sfuggita. Non c'è mai a casa, come ben sai, e io sono stata occupata con la camera di Penelope».

Stavo dipingendo le pareti della camera di Penelope. Dopo aver rimesso a nuovo la sua libreria, mi aveva scongiurato quasi in ginocchio di aiutarla con il resto della stanza, vista la trasformazione che avevo apportato a quella degli ospiti.

Ormai, l'avevo aperta al pubblico e tutti ne erano rimasti stupiti. L'unico a non esserci ancora entrato era Ollie.

Shinhai annuì soprappensiero.

«Tu cosa ne pensi?». Azzardai a chiederle.

«Non ne ho idea, Emma». Ammise scuotendo la testa a destra e a sinistra più volte. «Ollie è abbastanza contorto. Motivo per il quale non mi fido. Secondo me, dovresti lasciarlo perdere. Non fa per te. Capisco che ti piaccia e, cavolo, forse anche a me piacerebbe se non lo considerassi sottosviluppato: ti salva, ti bacia, si fa tatuare una farfalla e poi ti slinguazza per bene. Ma ricordati che solo due ora prime del salvataggio ci stava dando dentro con Sutton».

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora