55. 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘦

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Emma

Era seduta al centro della mia stanza a gambe incrociate. I miei occhi non smettevano di posarsi ovunque venisse attirata la mia attenzione.

Mi sentivo fuori luogo, sebbene fosse la mia camera, quella vera. Quella di casa dei miei.

Anche quelle stelle appiccicate al soffitto non le sentivo più mie. Come non sentivo mia qualsiasi altra cosa presente nella stanza.

Ero un'estranea in casa mia.

Era già il terzo giorno che mi svegliavo là dentro e la mancanza che provavo a non aprire gli occhi trovandomi sdraiata accanto a Ollie peggiorava a dismisura.

Alcune volte, mi mancava il respiro, come quando ci si sveglia di soprassalto da un incubo che è sembrato fin troppo vero, ma poi mi tornava in mente perché lo stessi facendo e allora i miei polmoni riprendevano a funzionare.

Mi alzai per evitare di cadere nel rischio di tornare a pensare a lui e scesi al piano di sotto.

Avevano smesso tutti di fare domande, facendo finta di farsi andare bene la scusa che avevo inventato per giustificare il mio "momentaneo" ritorno.

Solo nonna continuava a chiedermi implacabile se fosse successo qualcosa di grave, immaginandosi chissà quali gravi accadimenti - come che Ollie mi avesse cacciato perché non sapessi cucinare - e, ogni volta che io eludevo le sue domande, lei mi preparava una crostata. Ma neanche gli zuccheri avrebbero migliorato il mio umore.

Sentivo un macigno schiacciarmi il petto e un dolore profondo consumarmi da dentro.

Entrai nello studio di mia madre senza bussare. La calda luce del mattino rifletteva sul bianco laccato dei mobili creando un'atmosfera davvero rilassante.

Mamma, seduta alla grande scrivania di legno, era impegnata ad esaminare dei fogli da cui non staccò gli occhi neanche quando presi posto sulla sedia dall'altro lato della scrivania.

«Cosa stai facendo?».

«Cose da grandi, Emma». Rispose sbrigativa, rimanendo concentrata.

«Tipo?».

«Tipo i conti».

Mi sporsi verso la superficie buttando un occhio alla miriade di numeri che invadevano ogni singolo foglio.

«Cosa sono?».

«Fatture delle spese mediche dell'ultimo trimestre».

Misi meglio a fuoco e mi resi conti che fossero cifre esorbitanti.

«Costano così tanto?». Chiesi sbalordita.

Mia madre inumidì con la lingua il polpastrello dell'indice e, usandolo per sollevare l'angolo del foglio, cambiò pagina.

«Abbiamo un'assicurazione sanitaria che copre la maggior parte delle spese, ma costa anche tanto e i conti devono quadrare a fine mese».

La situazione nel mio stomaco di aggravò a dismisura. «Ma noi li abbiamo i soldi, vero?».

Finalmente mia madre alzò lo sguardo. «Li abbiamo, sì. Ma perché ne guadagnano abbastanza ora».

«Ora?».

Mia madre sospirò. «Non sempre li abbiamo avuti, ma non deve interessarti, Emma. Pensa alla tua vita, che a queste cose ci pensiamo noi».

«Ma arriverà il momento in cui dovrò pensarci io». Obiettai.

«Sì, vero».

«Quindi voglio sapere a cosa devo andare incontro, a cosa siete andati incontro voi».

Come le ali di una farfallaOù les histoires vivent. Découvrez maintenant