12. Il regalo

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Ollie

Un giorno, David mi chiese perché non festeggiassi mai il mio compleanno.

Gli mentii, rispondendo che non capivo perché si dovrebbero ricevere regali solamente per il fatto di essere stati espulsi da una vagina e costretti a iniziare a vivere in questo mondo di merda.

Non a caso, appena venuti al mondo, la prima cosa che facciamo per riempire i polmoni d'aria è piangere.

Da che ne avevo memoria, non lo avevo mai festeggiato, neanche da bambino.

Niente candeline soffiate su torte di pan di spagna e pasta di zucchero colorata a tema dinosauri o supereroi, niente regali, niente feste con i compagni di classe ai gonfiabili, niente auguri sussurrati dolcemente all'orecchio la mattina al posto del buongiorno.

Niente.

In ventisei anni, ricevetti solo un regalo di compleanno. Ma non fu intenzionale. Accadde per sbaglio.

Avevo nove anni e quella mattina, quando mi svegliai, trovai una bella sorpresa in soggiorno: Vasyl Macsim che ronfava sul divano con uno strascico di bottiglie di birre vuote attorno al divano, neanche fossero stati degli squali che si aggirano affamati intorno alla preda.

Mi ricordavo di averlo fissato intensamente e per lungo tempo, desiderando che sparisse per sempre. Se fosse accaduto, avrei raccolto quelle bottiglie, me ne sarei sbarazzato, avrei pulito e sistemato la casa, avrei addirittura sorriso.

Non lo facevo spesso perché, per quanto mi sforzassi, il più delle volte non riuscivo a trovare neanche una ragione per farlo.

Ma lui non sparì e io non sorrisi.

Quando si svegliò, la sbronza della sera prima era visibile solamente sulle rughe del volto, imbruttite e ancora alterate dagli effetti dell'etanolo.

Non mi fece gli auguri. E come avrebbe potuto? Non sapeva che fosse il mio compleanno.

Per lui, quel giorno era come tanti altri: un numero segnato sul calendario con una croce rossa sopra che indicava i riposi, i giorni in cui non era in giro per il paese alla guida del suo camion.

Eppure, proprio quella mattina, decise di portarmi fuori per colazione. Forse, stava morendo di fame anche lui, visto che in quella casa nessuno faceva la spesa da tempo immemore.

Quando entrammo nella bettola in cui andava a ubriacarsi ogni sera quando era a casa, le note che provenivano dal pianoforte malconcio e buttato per sbaglio a un angolo del locale e che risuonavano indisturbate in quel marciume sembrarono preziose come una perla in mezzo alla melma.

Un ragazzo stava facendo danzare le dita sui tasti bianchi e neri della tastiera senza curarsi dell'indifferenza incattivita dei presenti. Nessuno gli stava prestando attenzione. Nessuno tranne Vasyl Macsim, che tenne a far sapere al coraggioso musicista che quella frociata non era di suo gradimento, sollevando l'ovazione di tutti gli altri stronzi bifolchi che la pensavano come lui.

Il ragazzo li ignorò e continuò a suonare. Suonò per tutto il tempo in cui rimasi lì, seduto a mangiare in silenzio e ad ascoltarlo.

Fu così che capii che quello fosse il mio regalo di compleanno.

Sulla strada di ritorno, Vasyl, spinto dalla massima manifestazione di amore paterno che ebbe mai nei miei confronti, volle spazzare via della mia giovane mente il ricordo di quella frociata suonata al piano, facendomi ascoltare la versione originale dei Pixies.

Nella sua mente malata, i soli strumenti degni di essere suonati dai maschi erano la chitarra, il basso e la batteria.

Il resto solo roba da checche...

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now