66. La festa

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Emma

Il dito di Shinhai puntò dritto verso la bambina sdentata impressa nella carta fotografica. «Si può sapere a chi era venuto in mente di farmi fare quella frangetta?». Chiese oltremodo indignata.

«A te». Le risposi mentre i miei occhi non smettevano di osservare quelle due bambine sorridenti immortale per l'occasione: la festa per i miei dieci anni. «Ti eri messa in testa che volevi la frangia come la mia».

Il naso di Shinhai si arricciò in una smorfia di disgusto. «E tu non hai pensato di fermarmi? Sembra mi abbiano messo una scodella in testa e tagliato i capelli con un tagliaerba!».

«Avevamo dieci anni, Shinhai! A quell'età, ogni idea sembra geniale».

«Adesso ne hai ventidue e non mi sembra sia cambiato molto».

Ignorai la sua puntualizzazione sarcastica e voltai pagina.

Eravamo sedute sul tappeto della mia cabina armadio e, sepolto sotto diversi strati di vestiti, avevamo ritrovato un vecchio album di foto - sì, a diciott'anni affrontai una fase vintage per cui mi misi in testa di stampare le foto e creare album fotografici fisici. Ne avevo circa una ventina nascosti chissà dove per la stanza.

Ecco cos'altro dovevo prendere! Non potevo non includere gli album fotografici nelle poche cose che mancavano per dichiarare il trasloco concluso, anche perché erano cinque giorni che riempivo scatoloni e valigie.

Questa volta, volevo fare le cose per bene e prendere tutto ciò che mi apparteneva, perché avevo vissuto per troppi mesi a casa di Ollie solo con l'essenziale, mentre ora era arrivato il momento di farlo seriamente, trasferendo oltre a me stessa anche la mia vita materiale.

«Ma guarda qua!». L'indice di Shinhai, questa volta, si posizionò sopra la mia di testa. «Anche questa ti era sembrata un'idea geniale?».

Anche il mio naso si arricciò al ricordo di quel periodo. «No, quella non è mai stata una buona idea, ma mia madre mi aveva costretto». Ovviamente... «E io mi ero lasciata convincere che i capelli corti mi sarebbero stati bene. In quanto quattordicenne, nutrivo una grande speranza di essere carina e un minimo guadabile».

«E invece...».

«Sembro la nipote di Willy Wonka».

Ricordavo come fosse ieri il giorno in cui il parrucchiere recise senza pietà i miei lunghi capelli. A detta sua, il caschetto andava di moda. A detta mia, uscii di casa per settimane con il cappello e non li tagliai per anni, fino a quando non arrivarono al ginocchio.

«Ecco chi mi ricordavi!». Esclamò Shinhai come se avesse avuto un'illuminazione prima di voltare nuovamente pagina. «Oh, questa è carina».

Sorrisi davanti a quella foto.

Era il primo giorno di università e io e Shinhai sorridevamo abbracciate all'inizio del viale che portava all'entrata del campus. Anche quel giorno poteva essere annoverato tra quelli indimenticabili e io ricordavo chiaramente sia l'attimo prima che l'attimo dopo in cui venne scattata quella foto.

L'attimo prima sorridevo di gioia insieme alla mia migliore amica davanti la camera dell'iPhone di mio padre, l'attimo dopo mi voltavo e i miei occhi si posavano per sbaglio su un bellissimo ragazzo dai capelli biondi che stava camminando accanto a un altro schianto biondo.

Ve lo devo dire come reagii?

Le braccia ricaddero lungo i fianchi, la bocca disegnò uno cerchio tondo tondo, gli occhi scintillarono e il cuore saltò un battito per poi iniziare a martellare forte nel petto.

Shinhai capì subito a cosa stessi pensando. «Te lo ricordi, vero?». Feci sì con la testa continuando a fissare la foto. «Anche io. Mi ricordo che ti strattonai poco delicatamente perché pensavo ti stessi sentendo male. Invece, tu ti sei voltata verso di me e mi hai detto: "Shinhai, penso di essermi innamorata". Il resto sappiamo tutti come proseguì: stalking e pazzie a rotta di collo».

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now