30. La proposta

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David

Lo sapevamo.

Ollie ci aveva avvertito per evitare che ci rinchiudessimo in una stanza di un luxury spa hotel per scrollarci di dosso le dodici ore di volo che ci avevano riportato a casa nel solo modo che conoscevamo.

Io dentro di lei, in ogni modo mi fosse possibile.

Beatrice guardava fuori dal finestrino con sguardo perso e concentrato allo stesso tempo ma, quando serrai la presa delle mie dita intrecciate alle sue, si voltò verso di me.

Eravamo seduti sui sedili posteriori dell'unico taxi che eravamo riusciti ad aggiudicarci fuori l'aeroporto.

«Ricordati di essere sorpresa». Mi raccomandai.

«Ho fatto le prove, penso di riuscirci».

L'attirai a me, permettendole di sistemarsi tra le mie braccia, e le baciai i capelli, inalando il suo profumo.

«Sono così stanca». Sospirò.

«Anche io».

Avevamo passato l'ultima notte a Roma passeggiando per il centro, facendo scorta anche del più insignificante dettaglio su cui i nostri occhi si fossero posati, avevamo aspettato il sorgere del sole sulla sabbia bagnata dal suo amato Mar Mediterraneo e poi eravamo partiti.

Beatrice sollevò il viso quel poco che bastò a trovare le mie labbra. «Siamo tornati nella tua patria».

Sfiorai quelle labbra sottili di cui conoscevo a memoria ogni piega. «Sembra ieri che mi sono risvegliato nel tuo letto».

«E a me sembra ieri di essere finita con la faccia sopra il tuo pacco mentre eri svenuto nel corridoio di casa mia».

Sorrisi. «Ti piace proprio raccontare questa storia».

«Penso sarà uno degli aneddoti che racconterò ai nostri figli».

Le dita di Beatrice mi accarezzarono la guancia e io ripresi a baciarla, questa volta con la lingua, che non si sarebbe mai stancata di danzare insieme alla sua.

«Una volta, erano i tuoi nipoti e tu una zia ubriaca». Le feci notare con le labbra ancora schiuse sulle sue.

«Sto pensando alla storia dei figli. Ma non ora». Si affrettò a precisare. «Siamo arrivati». Mi avvisò tirandosi su per guardare fuori dal finestrino come una bambina impaziente.

«Pronto?». Mi domandò poi con la mano chiusa attorno alla maniglia della portiera.

«Pronto». Le risposi.

Con lei al mio fianco, sarei stato pronto a tutto.

Sorrisi, sospirai, poi scesi anche io dalla macchina.

Eravamo pronti a fare del nostro meglio per dimostrarci sinceramente sorpresi, ma non ce ne fu bisogno. Non facemmo in tempo a fare una faccia sbigottita che fummo travolti dagli abbracci di tutti.

Era bello essere tornati a casa.

Dopo aver salutato a dovere i miei genitori e le sorelle D'este-Fisher del mio cuore, mi precipitai da loro: l'altra famiglia.

Ben mi soffocò in un abbraccio scoccandomi un bacio sulla guancia, a cui si aggiunse anche l'abbraccio di Noah accompagnato da una sonora pacca sulla spalla.

Poi, fu il suo turno.

«Bentornati». Dissero due occhi scuri e impenetrabili.

«Non mi freghi, Ollie». Mi avvicinai al mio migliore amico e lo chiusi nella morsa del mio abbraccio, che ricambiò sforzandosi di fare del suo meglio.

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now