60. 𝙵𝚊𝚝𝚝𝚒

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Emma

Da piccola, amavo indossare vestiti lunghi ed eleganti per andare alle serate organizzate al Country Club. Mi facevano sentire una principessa e per un periodo mi convinsi di esserlo veramente, tant'è che non disdegnavo mai essere costretta da mia madre a partecipare, sperando sempre che quella fosse la serata giusta per incontrare il mio principe azzurro. Ma non era mai successo, non avevo mai incontrato un principe azzurro.

E come avrei potuto? Mi trovavo nella parte sbagliata della città!

Quella sera, invece, nonostante il vestito lungo con una scollatura davvero generosa ma sprecata per la mia assenza di attributi femminili superiori, non mi sentivo affatto una principessa ma più un relitto abbandonato sul fondo dell'oceano.

Mia madre aveva costretto me e mio fratello a venire e, mentre lui era riuscito a svignarsela per giocare con gli altri ragazzini, io dovevo subirmi le sue pressioni psicologiche.

«Secondo me, ti farebbe bene. Tu ami la Spagna, tesoro». Era la quarta volta che me lo ripeteva. «La Professoressa Velasquez è un'amica di famiglia. Sarà un'esperienza formante».

«Perché dovrei vivere un anno con una signora che neanche conosco bene in una paese dove non parlano la mia lingua?».

Domandai soprappensiero mentre giocherellavo con il tulle pregiato della gonna.

«Sai parlare lo spagnolo alla perfezione. Aiuterai la Professoressa Velasquez all'università. Le farai da assistente e le darai una mano con la traduzione dei suoi libri. Sarà un'esperienza formante».

«Lo hai già detto».

«Cosa?».

Alzai lo sguardo, lasciando in pace il tulle. «Hai già detto che sarà un'esperienza formante».

Mia madre prese aria e chiuse gli occhi per un brevissimo istante. Si capiva che stava facendo del suo meglio per mantenere la calma e essere apprensiva. Erano ormai passati quasi tre mesi dal mio ritorno ed erano ormai quasi due mesi che lei cercava di instaurare con me un rapporto madre-figlia alla Lorelai Gilmore.

«Perché non parli direttamente tu con la Professoressa Velasquez? Così ti spiegherà in cosa consisterebbe il tuo soggiorno a Valencia».

Annuii al solo scopo che mi lasciasse in pace. In virtù di quel rapporto stile Una mamma per amica che si era prefissata di raggiungere, si era messa in testa che toccasse a lei l'arduo compito di elaborare la fase tre del mio piano di vita, visto che io non riuscivo a schiodare dalla numero due. Anzi, avrei voluto tornare indietro nel tempo alla fase uno per riviverlo in loop.

«Okay, vado a cercarla allora».

Mossa da un moto di gioia convulsa, finalmente mia madre mi lasciò da sola. Indietreggiai di poco al solo scopo di mettermi ancora più in disparte rispetto dal centro pulsante della festa. Soprattutto perché sul palco il quartetto di archi aveva appena iniziato a suonare I'm kissing you e io avrei voluto sprofondare nelle viscere della Terra.

L'ultima volta che avevo ascoltato quella canzone era stata sul divano con Ollie mentre guardavamo il mio film preferito. Al tempo non eravamo niente io e lui, poi eravamo diventati tutto, per tornare alla fine a essere anche meno di niente.

Osservavo assente tutti quei ricconi fare finta di stare là per beneficenza con la mente che non mancava di volare ogni volta inevitabilmente in quel luogo della città che era ormai distante anni luce, e non solo in termini di miglia.

Mi lasciai andare a un sospiro che, però, fu subito interrotto dai brividi da cui mi sentii percorsa quando percepii il respiro di qualcuno all'altezza del mio orecchio.

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora