24. La lista

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Ollie

Non ero mai stato un tipo che si concedeva al pentimento o che veniva facilmente assalito dai sensi di colpa, ma la faccia amareggiata di Emma Cooper davanti al tavolo da biliardo era quasi riuscita nell'impresa impossibile di farmi cedere.

Non che mi fosse dispiaciuto batterla, visto che la mia vittoria scontata l'aveva costretta ad andarsene a casa invece di offrire le sue mutande al primo sconosciuto ricoprendosi di ridicolo. Eppure, per una frazione di secondo, mi sono sentito in colpa perché se lei aveva quella faccia triste e sconsolata era a causa mia.

Come ogni mattina, la trovai in cucina.

Di solito, era facile ignorarla: prendevo qualcosa di commestibile dal frigo, attento a non incrociare i suoi occhi grigi, e poi uscivo senza salutarla.

Il suo buongiorno sorridente stava diventando routine e io odiavo le routine anche più della domenica.

Ma quella mattina lo studio era chiuso - Nate aveva la bizzarra abitudine di chiuderlo a caso, senza una motivazione valida se non quella che ne avesse semplicemente voglia - e io non avevo niente da fare.

Emma era girata di spalle, seduta al tavolo e immersa in un profumo tremendamente invitante. Quando il mio sguardo si posò sulla fonte di quell'odore, notai un altro tipo di mostro lievitare nel forno.

Emma Cooper aveva deciso di invaderci e di farlo in grande stile, armandosi di piante e cibi preparati in casa.

Erano comparsi altri due mostri verdi in giro per casa e i vasi colorati in cui li aveva sistemati avevano spietatamente interrotto le gradazioni di sfumature a cui quella casa era destinata, quelle del nero.

Mi aveva chiesto il permesso con un post it attaccato alla porta della mia camera.

Posso mettere delle piante?           Sì              No

Aveva lasciato una penna legata a uno spago a penzoloni dalla maniglia per segnare una x sulla risposta. Ovviamente non avevo risposto, beccandomi una strigliata di mia sorella su quanto fossi maleducato. Quindi, alla fine, glielo aveva dato lei il permesso.

Quando entrai in cucina, Emma non si accorse della mia presenza.

Il suo telefono era abbandonato sul tavolo con la custodia delle AirPods accanto e lei era troppo impegnata a canticchiare al ritmo della sua testa che si muoveva da destra a sinistra trascinando con sé quella cascata di capelli.

Aveva la cattiva abitudine di disseminare le sue cose per casa. Assurdo visto che, da quando abitava con noi, in casa regnava la dittatura del pulito e dell'ordine, tant'è che io e Penelope ci sentivamo in colpa a lasciare piatti sporchi in giro o nel lavandino. Soprattutto perché lei non li avrebbe lasciati in pace e avrebbe finito per risucchiarli nel suo vortice maniacale di pazzia per la pulizia.

Tuttavia, il suo iPhone sembrava avere il dono dell'ubiquità, proprio come le sue cuffie e i suoi elastici per capelli. Erano ovunque.

Era intonata, dovevo ammetterlo e, quando mi avvicinai al tavolo, con l'indice diedi un colpetto allo schermo.

Ben aveva ragione: Emma Cooper doveva lavorare parecchio sui suoi gusti musicali visto che stava ascoltando una canzone che non sarebbe capitata neanche per sbaglio nella mia playlist, Stubborn love di The Luuminers.

Lo schermo si spense dopo pochi secondi, e le facce sorridenti di Emma e della sua amica che facevano da sfondo furono risucchiate nuovamente dal nero.

Per palesare la mia presenza, provai a tossire ma Emma era troppo impegnata a cantare. La voce impastata mi suggerì che, oltre a cantare, la sua bocca era impegnata a masticare. Così, mi diressi verso il frigo e, solo dopo averlo aperto, lei si accorse di me.

Come le ali di una farfallaOnde as histórias ganham vida. Descobre agora