59. 𝙼𝚊𝚐𝚐𝚒𝚘

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Ollie

Presi aria per incamerare ossigeno ed espirare pazienza.

Quella mattina nello studio, non bastava Nate che aveva deciso di ripassare i testi di tutte le canzoni di Tom Odell così da non fare brutta figura al concerto a cui sarebbe andato con la figlia per dimostrarle di essere un padre presente e disposto a tutto.

No... Ci si dovevano mettere anche i clienti esasperanti.

Le note di Another love risuonarono per la quarta volta consecutiva e io, per la quarta volta consecutiva, chiarii il concetto alla ragazza che, seduta di fronte a me, non smetteva di mostrarmi l'avambraccio su cui era tatuato quello che avrebbe dovuto essere un albero della vita con la chioma a forma di cuore.

«Sono un tatuatore, non Harry Potter. Posso modificarlo, ma albero è e albero rimarrà».

«Ma io voglio...».

«Non si può fare. Verrebbe una macchia nera».

«Neanche un...».

«No».

«E se...».

«No».

La ragazza ancora non si arrendeva continuando a mostrarmi quell'oscenità disegnata sul suo avambraccio. Così, senza mancare di sbuffare, presi il pennarello per tracciare sulla sua pelle i contorni di un fusto e abbozzare una chioma.

«Più di questo non si può fare. È il solo modo in cui si può coprire».

La ragazza non sembrava molto convinta ma io avevo perso definitivamente la pazienza.

«Senti, pensaci su, richiedi altre consulenze...».

«Ma tu sei il migliore».

«... e quando ti decidi, fammelo sapere». Chiusi la questione in modo brusco per evitare che tornasse all'attacco e ringraziai mentalmente Nate quando sbucò fuori.

«Ollie, c'è un ragazzino che chiede di te».

Inevitabilmente, sentii le mie sopracciglia inarcarsi. Poi, dopo aver avvertito la ragazza - che ancora guardava con espressione sconsolata il suo albero della delusione - che sarei tornato subito, andai nella piccola sala d'attesa per capire di quale ragazzino stesse parlando Nate.

Lo riconobbi subito.

Era proprio Alex Cooper il ragazzino che non si stava facendo gli affari propri e giocherellava con il pennino che la sorella mi aveva regalato ormai troppi mesi prima.

Non si era accorto della mia presenza, così, quando gli rivolsi la parola, lo feci sobbalzare.

«Che ci fai qui?».

Alex Cooper si girò alla svelta ritirando le mani come se fosse stato colto in flagrante.

«Non dovresti stare a scuola?».

«Non ci sono andato».

Incrociai le braccia al petto e mi poggiai con la spalla allo stipite. «Come sei arrivato qua?».

«Autobus. Tre per la precisione».

«Chiama subito qualcuno e vieni a farti prendere».

«Non ho il telefono. Altrimenti con la geolocalizzazione che devo sempre tenere attiva mi avrebbero subito scoperto e, se sanno che ho marinato la scuola, finirei in punizione per secoli e secoli. Così, dopo aver avvisato mamma che sarei stato impegnato con il progetto di scienze per tutto il giorno, ho lasciato il telefono nell'armadietto. Poi, senza farmi vedere e con la scaltrezza di una volpe, ho messo in atto il mio piano di evasione. Mi sono nascosto nel bagno e quando è suonata la campanella sono strisciato fuori, più silenzioso di una tigre del Bengala».

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora