17. La farfalla e il pipistrello

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Emma

Quando Noah fece ritorno al tavolo, io ero ancora in fase di ripresa.

Ollie mi aveva parlato, toccato, cacciato e io facevo fatica a mantenere il respiro regolare.

«Tutto bene?». Mi domandò mentre prendeva nuovamente posto, passandomi il bicchiere che conteneva la mia sfigata bevanda analcolica.

«Io...». Distolsi lo sguardo dal punto in cui Ollie ero andato per allontanarsi il più possibile da me. «Non pensavo gli stessi così antipatica». Ammisi, investita dalla delusione per quella considerazione.

Noah buttò un'occhiata dietro di lui, verso il tavolo da biliardo dove Ollie avevo preso a giocare con altri ragazzi. Poi scrollò le spalle per tornare a concentrarsi su di me. «Non gli sei antipatica. È che non gli piace quando gli si danno molte attenzioni».

Sospirai rassegnata. «Mi ha detto che sono una piattola e che devo lasciarlo perdere. Secondo te, potrebbe denunciarmi per stalking?».

Noah cercò di non ridere. «Non penso».

Afferrai il bicchiere e bevvi un sorso. Non feci in tempo a mandare giù quella bevanda iperzuccherina che anche Ben ci raggiunse.

«Ragazza farfalla». Mi chiamò con un sorriso sincero stampato sul volto. «Allora, avevo visto bene... Come mai da queste parti?».

«Ho riportato gli occhiali da sole a Ollie ma lui mi ha cacciato».

«Ah, lascialo perdere». Ben si sedette vicino a me. «Anzi facciamo un bel brindisi. È un analcolico quello?». Mi chiese indicando con le sopracciglia inarcate il bicchiere davanti a me.

«Sì, non bevo alcool». Mi giustificai.

Anche Ben sembrò scandalizzato quasi quanto Noah. «Ti perdoniamo solo perché sei adorabile».

«Sei la seconda persona che me lo dice oggi. Adorabile come un cucciolo o adorabile come qualcuno per cui provare compassione?».

Ben si prese del tempo per riflettere sulla mia domanda. Poi, gli angoli della sua bocca si piegarono disegnando le curve di un sorriso furbo. «Adorabile come una farfallina che cerca di amicarsi un pipistrello!».

«Il pipistrello chi sarebbe?».

«Ollie, ovviamente!». Mi spiegò Noah.

Ben sollevò il boccale di birra ormai quasi terminato, esortandomi a fare altrettanto. «Forza, brindiamo!».

«A cosa?». Domandai facendo quanto richiesto.

L'espressione di Ben si fece seria. «Alle farfalline coraggiose».

Scoppiai a ridere prima di ritrovarmi a far tintinnare il mio bicchiere contro i loro, anche se non si dovrebbe mai fare, come ricordava ogni volta mia madre.

Secondo il galateo, infatti, è un gesto poco elegante. Per non parlare delle espressioni barbare che accompagnano il brindisi: è severamente proibita qualsiasi formula di accompagnamento.

Per questo, io e papà non mancavamo mai di far scontrare i nostri bicchieri pieni di coca-cola a suon di cin cin - per rendere onore alle origini italiane dei miei nonni - e cheers davanti la faccia infastidita di mia madre ogni qual volta ne avessimo l'occasione.

Dopo quel brindisi che sancì la mia folle impresa di cercare di stare simpatica a Ollie - impresa che quella sera poteva classificarsi come failed -, trascorsi altro tempo seduta sullo sgabello del Dylan & Dog in compagnia di Noah e Ben.

Non riuscii a credere di essere stata per tutta la sera a bere e brindare circondata dai migliori amici del ragazzo per cui avevo una cotta da troppo tempo neanche quando arrivò il momento di far finire la serata.

«Ora devo andare». Li avvisai quando divenni totalmente consapevole che Ollie non sarebbe più tornato al tavolo, non finché io fossi rimasta seduta là.

«Come sei venuta? Hai bisogno di un passaggio?». Mi chiese Noah.

Scossi la testa. «No, ma grazie del pensiero. Sono venuta con la mia macchina. Salutatemi voi Ollie visto che non penso abbia molto piacere che sia io a farlo di persona».

Ben e Noah annuirono e io mi alzai per dirigermi verso l'uscita.

Diedi giusto un'ultima sbirciatina prima di mettere il piede fuori dal Dylan&Dog.

Ollie stava ancora giocando a biliardo e non intercettò il mio sguardo neanche per sbaglio, quindi non mi restò altro da fare che sospirare, uscire definitivamente dal locale e probabilmente anche dalla sua vita.

Solo dopo essere salita in macchina, mi accorsi di aver lasciato il telefono abbandonato sul sedile del passeggero e, quando lo presi, piombai nella tragica consapevolezza di essere finita in un mare di guai.

Lo schermo esplodeva di notifiche e la mia vita era finita.

Tra i messaggi che si alternavano alle innumerevoli chiamate senza risposta dei vari componenti della mia famiglia, quelli che più di tutti mi facevano tremare le gambe erano quelli di mia madre che mi intimava di tornare a casa, altrimenti mi avrebbe trovato ovunque mi fossi cacciata.

Prima di mettere in moto e partire, lessi di sfuggita il messaggio di mio fratello Alex che mi chiedeva scusa perché non era riuscito a coprirmi quando mia madre era venuta a cercarmi alla sala giochi.

Questa volta, ero sicura che sarei riuscita a rivedere la luce del sole solo il giorno della laurea di mio fratello.

Lanciai un ultimo sguardo implorante alla porta di ingresso del Dylan & Dog.

Sarei potuta tornare dentro, avrei potuto scongiurare Noah e Ben di salvarmi dal triste destino che mi stava aspettando a casa al mio ritorno, ma poi mi ricordai che Ollie mi odiava.

In confronto, anche la punizione che mia madre teneva in serbo per me mi sembrò una cosa da poco conto.

Misi in moto e partii, destinazione Alcatraz, completamente ignara del fatto che in sole ventiquattr'ore la mia vita avrebbe preso una piega più che inaspettata.

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now