20. La pulizia

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Emma

Non riuscii a credere di averlo fatto veramente fin quando non aprii gli occhi e mi ritrovai in una stanza fredda, logora e che emanava un odore poco gradevole.

Rannicchiata nelle mie lenzuola turchesi di seta su un materasso che cigolava a ogni mio movimento, mi ero svegliata molto presto come sempre.

Potevo considerarmi una persona mattiniera, visto non aprivo mai gli occhi dopo le otto, mentre di notte dormivo così profondamente che neanche un bombardamento sarebbe riuscito a svegliarmi.

Quella mattina, erano le sette e mezza e io non riuscivo a muovere un muscolo. La vescica stava per scoppiare ma non avevo coraggio di uscire perché, se lo avessi fatto, avrei corso il rischio di imbattermi negli abitanti di quella casa, primo fra tutti Ollie che aveva accolto la notizia del mio soggiorno in casa sua peggio di come i miei avevano appreso quella della mia fuga da casa.

Li avevo avvisati, ovviamente. Avevo mandato loro un messaggio rassicurandoli che stavo bene e che non dovevano preoccuparsi, che ero da amici e che sarei stata bene. Poi, avevo spento il telefono perché mia madre aveva iniziato a chiamarmi insistentemente e io avevo deciso di pensare seriamente al guaio in cui mi ero cacciata solo quando le milizie sguinzagliate da mia madre mi avrebbero trovato.

Mi ero alzata dal letto poco dopo le otto ed ero stata con l'orecchio poggiato sulla superficie della porta attenta a captare qualsiasi rumore proveniente dall'esterno.

Nessuno venne a disturbarmi e la cosa mi sorprese. A casa mia, ero costantemente sotto i riflettori, mentre qua nessuno sembrava interessato a sincerarsi se stessi bene, se fossi ancora viva.

Quando capii che non c'era nessun altro in casa oltre me, uscii dalla stanza.

La porta cigolò facendomi sobbalzare e mi ritrovai nel piccolo corridoio circondata da altre tre porte chiuse. Fissai quella della camera di Ollie e per un attimo mi balenò in mente l'idea di entrare.

Ero estremamente curiosa ma anche molto educata e rispettosa del prossimo quindi non lo feci.

La sera prima, Penelope mi aveva mostrato la casa e io non ero riuscita a capire come qualcuno potesse vivere lì dentro, ma avevo sorriso tutto il tempo perché mai mi sarei permessa di offendere i proprietari di quella casa che sembrava pronta a crollare da un momento all'altro. Si era poi raccomandata che dovessi fare come se fossi a casa mia e che qualunque cosa avrei dovuta chiamarla.

Dopo essere andata al bagno, scesi al piano di sotto finendo inghiottita in un silenzio inquietante.

A ogni mio passo, la assi del pavimento scricchiolavano fastidiosamente. Per casa era disseminato un disordine generalizzato e logoro era l'unico aggettivo che mi veniva in mente quando i miei occhi si posavano su qualunque oggetto presente.

Penelope mi aveva avvisato anche che in casa non c'era mai niente da mangiare e, infatti, quando aprii il frigo regnava la solitudine di qualche resto di cibo abbandonato.

Per colazione riuscii a cibarmi di uno yogurt prossimo alla scadenza, che mangiai seduta sullo sgabello del tavolo della cucina, circondata da piatti sporchi, vestiti e biancheria di vario genere sparse qua e là e resti di cartoni di pizza abbandonati.

Non riuscii a fare a meno di pensare a come avrebbe reagito nonna se si fosse trovata al posto mio. Probabilmente le si sarebbe alzata la pressione. Anche io, in verità, facevo fatica a stare tranquilla in quel porcile.

Iniziai lavando il cucchiaino con cui avevo mangiato lo yogurt. Solo che poi mi sembrava tremendamente sbagliato ignorare gli altri piatti sporchi. Così, iniziai a lavare anche loro: prima quelli dentro il lavandino, poi quelli sul bancone, poi quelli sul tavolo e infine tutti gli altri disseminati in giro per casa.

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now