16 - Gli occhiali

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Ollie

Non ero tornato a studio quel pomeriggio. Dopo l'incontro con Max, era andato a surfare.

Quando surfi da che ne hai memoria, capisci che la vita è scandita da attimi e che, per noi surfisti, può essere racchiusa precisamente nel brivido dell'attimo prima in cui sei in piedi sulla tavola e la consapevolezza dell'attimo dopo in cui sai per certo che stai per cadere in acqua.

Racchiusa in quel momento lasciato in sospeso tra l'aria e l'acqua, tra il tempo e lo spazio, in cui sei consapevole di cosa ti stia per accedere ma ignaro di come andrà a finire.

Imparai a vivere così, imprigionato nella pausa tra quei due attimi infinitesimali per cui valeva la pena continuare a cercare l'onda perfetta.

Iniziai a surfare dopo aver conosciuto Noah, da cui appresi sul surf - e non solo - tutto quello che suo padre gli aveva insegnato.

Non avevo neanche otto anni e Noah, poco più di grande me, era diventato una specie di fratello maggiore per cui avrei dato la mia vita.

Era lui che stavo raggiungendo dopo aver varcato la soglia del Dylan & Dog dove, quella sera, la band sfigata di turno stava suonando la cover di Sweet Morphine.

«Ollie». Mi salutò Noah alzando il boccale di birra.

Presi posto vicino a lui e non ci fu bisogno di dire niente.

«Tutto bene?». Mi domandò mentre l'acuto del cantante sul palco rischiò di mandare in frantumi qualche bicchiere abbandonato sui tavoli.

Mi strofinai il viso con le mani. «Max mi sta addosso. Si è fatto vedere qua?».

«Non penso sia così folle...».

Non solo era folle, era anche pericoloso.

«Ma guarda chi è appena entrata nel locale». Lo sguardo di Noah era rivolto all'entrata del locale. «Una farfalla che ti sbava dietro!».

Mi voltai anche io finché non la vidi entrare nel locale, da sola.

Forse, qualcuno avrebbe dovuto dirle che stonava come un nostro di raso rosa in una scatola di nastro isolante nero. Rosa come quella gonna che indossava e che svolazzava a ogni suo passo, da cui fuoriusciva una canottiera bianca di seta che la faceva sembrare terribilmente fuori posto.

«È una cazzo di piattola!». Mi lamentai voltandomi di nuovo verso Noah.

«Non fare lo stronzo». Mi rimproverò lui mentre si legava i capelli lunghi e neri. «E penso che stia cercando te!».

Sospirai prima di alzarmi diretto al bancone.

«Quella tipa ti sta addosso come una piattola!».

«Ho appena detto la stessa cosa a Noah». Risposi a Sutton che mi aveva raggiunto al bancone. Come sempre, era vestita in un modo che me lo faceva venire duro solo a guardarla.

«Ci vediamo dopo?». Mi domandò mentre si sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli biondi e arruffati per via dell'umidità che caratterizzava quelle serate estive, rendendoli ancora più eccitanti del solito.

«Dipende». Le risposi dopo aver preso la birra che mi stava passando Finn.

Sutton si fece ancora più vicina, annullando la distanza tra di noi. «Da cosa?».

Mi sporsi verso di lei per parlarle all'orecchio. «Da cosa hai intenzione di fare». Le sussurrai facendola ricoprire di brividi.

Sutton sorrise maliziosa. «Ho in mente diverse cose». La sua mano mi palpeggiò il sedere mentre la sua bocca sfiorò la mia. «Sempre se non hai da fare con la tua farfallina».

Come le ali di una farfallaOnde as histórias ganham vida. Descobre agora