40. L'ostaggio

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Emma

Aiutati, che Dio ti aiuta.

Diceva sempre la mia saggia nonna, detentrice del primato miglior crostata del Nuovo Mondo e ambassador del sapone di Marsiglia misto a candeggina per scrostare via come lo sporco ostinato anche i problemi della vita.

E io stavo decisamente aiutando me stessa a buttarmi a capofitto in un'altra delle mie figuracce, che avrebbe reso pressoché impossibile la riuscita della missione di recupero della mia dignità, visto che ero di fronte la porta chiusa della camera di Ollie per inventare una misera opportunità di vederlo.

Se poi Dio si fosse messo una mano sulla coscienza concedendomi quell'aiuto di cui avevo estremamente bisogno e, perché no, magari un altro pomeriggio in compagnia di Ollie, lo avremmo scoperto a breve.

Questa volta, però, avrei aspettato il permesso di entrare prima di abbassare la maniglia.

Sapevo che Ollie era casa perché il suo pick up era parcheggiato proprio dietro la mia prius e le sue chiavi erano buttate sul tavolo della cucina.

Così, feci un respiro profondo e bussai.

«Ollie?».

All'eco della mia voce, non seguì nessuna risposta. Bussai un'altra volta e, quando fu una voce femminile a rispondermi dall'altra parte della porta, capii che Dio non era mai stato dalla mia parte.

E come dargli torto? Simpatizzavo Buddha da sempre.

La riconobbi subito quella voce che gridò «Occupato».

Era di Sutton.

Rimasi pietrificata quel tanto che bastò a riattivare il cervello affinché ordinasse alle mie gambe di schiodare da lì e alla svelta.

In preda alla frenesia di sprofondare fino a raggiungere il centro della Terra per la vergogna, mi chiusi in bagno.

Con il cuore che rimbombava nella cassa toracica anche più rumorosamente dei bassi del subwoofer di Earl, poggiai le mani sul bordo del lavandino e fissai la mia immagine allo specchio.

I capelli decisamente troppo lunghi ricadevano a cascata lungo le mie braccia rovinate, facendo da contorno a un viso decisamente poco furbo.

Cosa mi ero messa in testa?

Visto che non avrei sopportato il peso della risposta a quella domanda - perché, seppur messa male, avevo ancora qualche briciola di dignità accanto a una risicata dose di amor proprio -, cominciai a guardarmi nervosamente intorno, finché il mio sguardò si posò sugli orecchini adagiati sulla ceramica bianca del lavabo accanto al rubinetto.

Erano di Sutton. Dei pendenti che, se avessi indossato io, mi avrebbero fatto somigliare a una gipsy ubriacona. Invece, indossati da lei, erano tremendamente sexy.

Ne presi uno in mano per ispezionarlo meglio. E, proprio mentre ero intenta a studiare ogni minimo dettaglio di quella portaerei travestiva da orecchino che pendeva dal mio indice all'altezza dei miei occhi grigi, il rumore delle nocche battute per due volte sul legno della porta mi fece sobbalzare causando la tragedia.

L'orecchino schizzò via e, con un tuffo degno di un primato olimpionico, centrò con precisione da cecchino il buco dello scarico.

Mi portai la mano alla bocca mentre lo guardavo sparire, inghiottito dall'oscurità.

«Tutto bene?». Sentii la voce di Ollie smorzata dalla barriera di legno che ci divideva.

«Sì, scusa». Risposi distrattamente mentre cercavo di infilare il dito nel buco dello scarico. «Non volevo disturbarvi. Volevo sapere se il bagno fosse libero. Mi sto facendo la doccia». Mentii, mentre le mie dita ballavano una frenetica danza nel tentativo di recuperare l'orecchino.

Come le ali di una farfallaUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum