21. La ricercata

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Emma

La seconda notte andò meglio.

Mi addormentai sempre con la tachicardia che mi veniva al pensiero di Ollie nella stanza accanto ma ero fiduciosa. Sarei migliorata... prima o poi.

Nutrivo meno speranze, invece, per la situazione critica delle mia guance che andavano a fuoco ogni volta che Ollie mi guardava. Soprattutto perché quella condizione di surriscaldamento aggravato la percepivo anche in mezzo alla gambe.

Quella mattina, come sempre, aspettai che non ci fosse più nessuno in casa per uscire dalla stanza.

Ollie era uscito verso le nove e Penelope era rientrata a casa verso le otto per uscire nuovamente dopo neanche mezz'ora.

Capii così che in quella casa vigeva l'anarchia più assoluta. Ognuno faceva quello che voleva: usciva o rientrava a orari improbabili e soprattutto senza avvisare. Avrei potuto farlo anche io, sarei potuta uscire per andare dove volessi e senza avvisare nessuno, ma poi mi chiesi dove sarei potuta andare e non trovai alcuna risposta.

La casa era silenziosa, proprio come il giorno prima, ma anche estremamente pulita e ordinata. Feci colazione in completa solitudine, ascoltando i rumori dell'esterno.

Qualcuno litigò, prendendosi a parolacce. Volarono anche diverse minacce che vennero spazzate via dagli accordi di chitarra che iniziarono a diffondersi per tutto il quartiere. Qualcuno stava ascoltando la musica ad altissimo volume, costringendo anche tutto il vicinato a farlo.

Penelope mi aveva detto di farmi gli affari miei, qualsiasi cosa fosse accaduta all'esterno. Così, sistemai i piatti della colazione a ritmo delle note di quella canzone che conoscevo grazie a Shinhai.

Sembrava che i Metallica stessero suonando Nothing Else Matters usando il tavolo della cucina come palcoscenico.

Dopo fu il turno dei Nirvana, AC/DC, Motörhead (grazie, Shazam), Lim Bizkit, Iron Maiden, Led Zepplin.

Quando la musica si interruppe, avevo la sensazione di essere stata a un concerto Rock - mi venne addirittura voglia di farmi qualche piercing - ed ero lavata e vestita, pronta a... fare cosa?

Non ne avevo la minima idea.

Seduta sul divano, presi il telefono. Come da trentasei ore a questa parte, lo schermo esplodeva di notifiche. Anche ieri sera avevo avvisato i miei, rassicurandoli che stessi bene e ignorando tutte le chiamate e i messaggi ricevuti.

Scorsi veloce la cascata di notifiche per cercare segni di vita da parte di Shinhai, ma niente. Oltre a un risicato messaggio con su scritto "Emergenza. Appena posso ti chiamo", era sparita.

Cercai il nome del mio amico tra i contatti e dovetti aspettare almeno sei squilli prima di una risposta.

«Emma! Ma veramente sei andata via di casa?».

Sorrisi, anche se non poteva vedermi. «Ciao, Davis! Sì, sono andata via». Confermai con voce trionfante.

«Oh, cavolo! Tua madre ha chiamato mia madre ieri mattina per sapere se stessi da noi. Stavano per andare alla polizia!». La voce di Davis era divertita ed esaltata allo stesso tempo. Effettivamente, la mia fuga era l'evento perfetto per creare scalpore tra i soci del Country Club.

«Non possono andare alla polizia. Ho quasi ventidue anni e non sono costretta a vivere con loro».

«Ma dove sei?».

«Ecco...».

«Dimmi che stai scherzando, Emma! Sei a casa della persona a cui sto pensando?».

Strizzai gli occhi intenta a riflettere con lo sguardo fisso sul mobile della tv. «Come faccio a sapere se stiamo pensando alla stessa persona?».

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now