29. La (non) sorpresa

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Emma

«Questo?». Puntai la camera del telefono sul primo outfit adagiato sul letto.

«Nah!». Rispose Shinhai ancora assonata. Da lei erano passate da poco le nove di mattina.

«Perché?». Le domandai delusa continuando a inquadrarlo.

«Sembreresti un cartello stradale».

Spostai la camera sul secondo. «Questo?».

«Una porta di emergenza».

«Questo?»

«Un piccolo abete innevato».

Anche se Shinhai aveva ragione, feci un passo all'indietro per osservarlo con più attenzione e avere una visione d'insieme.

«Però mi piace!». Confessai.

Quella gonna svasata e lunga color verde smeraldo e la maglietta accollata bianca sembravano l'outfit ideale per la serata.

«Quindi? Cos'hai detto ai tuoi?». Chiesi a Shinhai dopo aver girato la camera verso di me.

Era sdraiata sul futon, il tipico letto giapponese, e con il braccio ben dritto teneva il telefono in mano. «Che non ci penso proprio a sposarmi con uno di questi musi gialli!».

«Shinhai!». La rimproverai, allibita.

«Sono giapponese anche io, posso appellarmi a loro in questo modo».

«Almeno provaci».

Shinhai strabuzzò gli occhi. «Seriamente mi stai chiedendo di pensare alla loro proposta di conoscere il tipo con cui mi hanno organizzato un matrimonio combinato?».

«Non ti hanno organizzato un matrimonio combinato». Puntualizzai sedendomi sul letto che avevo spostato al centro della stanza per poter ritinteggiare le pareti.

«Poco ci manca». Sbuffò innervosita. «E poi parli tu che sei scappata di casa perché tua madre voleva farti studiare con un tutor privato!».

Incrociai le gambe, allontanando con il piede gli outfit da cartello stradale e porta di emergenza. «Non sono scappata solo per quello». Precisai.

«Ah, già vero. La storia dell'università... Ma, a quanto pare, sarai costretta a finirla».

«Non ci riuscirà mai!».

Shinhai inarcò un sopracciglio a quarantacinque gradi come era solita fare. «Emma, si è procurato i biglietti per i Coldplay. Più che Principe delle Tenebre dovrebbero chiamarlo Re dell'impossibile».

La interruppi non badando al fatto che avesse ragione più di quanto avrei mai ammesso. «Sì, ma non riuscirà mai a farmi realizzare il desiderio di sballarmi a Tijuana».

«Il confine con il México». Lo pronunciò alla spagnola. «È proprio là vicino».

Consumai l'immagine della mia amica che mi restituivano i sei pollici del mio iPhone lilla e sospirai. «Mi manchi... quando torni?».

Shinhai cambiò posizione, sdraiandosi a pancia in giù. «Più o meno quando avrai realizzato i tuoi quattro desideri».

Non riuscii a reprimere un sorriso, specialmente al pensiero che sarei andata al concerto dei Coldplay insieme a Ollie.

«Tornerai con un marito, quindi?».

Shinhai scossa la testa risoluta. «Mai! Lo sai come la penso».

«Non puoi vivere in una società come quella delle amazzoni». Ripetei quello che le dicevo sempre da quando se ne uscì con questa assurda teoria secondo la quale, per risolvere i problemi del mondo, avremmo dovuto adottare come modello sociale di riferimento quello matriarcale.

Come le ali di una farfallaOnde as histórias ganham vida. Descobre agora