19. L'ospite

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Ollie

Era una delle tante sere in cui Earl, il cocainomane che abitava in fondo al viale, voleva dimostrare a tutto il quartiere che la vera musica era morta, come il Rock e tutti i grandi cantanti del passato.

Se avevo dei gusti musicali decenti, lo dovevo anche a lui dopo tutto. Ero cresciuto a suon di rock, punk rock, hard rock e metal anni ottanta e novanta e fu proprio lui a regalarmi una sua vecchia chitarra che imparai a suonare guardando tutorial dal pc di Noah.

Me lo ricordavo ancora quel giorno. Era un giorno come tanti, una domenica come tante, in cui mio padre era casa e mia madre stava dando di matto. Così, avevo accompagnato Penelope a casa di una sua amica barattando le mie ore d'aria per permettere a lei di uscire.

Vasyl Macsim aveva appena iniziato a dare della puttana a mia madre, quando un assolo di chitarra elettrica iniziò a far tremare i muri sempre troppo sottili di quella casa di merda.

Neanche gli AC/DC, però, fecero calmare Vasyl che, quando non beveva, era anche più stronzo di quando era sbronzo. Per questo, mi ordinò di andare a minacciare Earl che, se non avesse tolto quella musica di merda, ci avrebbe pensato lui personalmente.

Quando bussai alla sua porta, non avevo la minima intenzione di minacciarlo, soprattutto perché probabilmente si era fatto una striscia e non mi sembrava ancora il caso di passare a miglior vita, non almeno prima di aver provato ad andare via da quel posto.

Quando aprì la porta, Earl rimase abbastanza sorpreso di trovarsi di fronte un quattordicenne con le scarpe logore e una maglietta rovinata ma rattoppata dalla mamma di Noah.

Rimanendo in piedi in mutande sulla soglia a grattarsi le palle, mi domandò che cazzo volessi e io alzai le spalle con la disinvoltura che mi aveva sempre contraddistinto. Forse, fu proprio quel gesto che lo fermò dal darmi un calcio in culo per cacciarmi via e che, anzi, lo portò a invitarmi a entrare, a offrirmi una dose che rifiutai educatamente e a regalarmi una delle sue vecchie chitarre. E, solo dopo aver brontolato qualcosa sui tempi d'oro della sua gioventù in cui scopava donne con più facilità di come pizzicava le corde della sua chitarra, mi cacciò via.

Tornai a casa con una chitarra in mano e la musica ancora ad alto volume.

Vasyl si incazzò con me dicendomi che non ero buono a fare niente e, dopo aver provato ad alzare le mani, mi spedì in camera dove andai solo perché, se fossi rimasto, le avrei alzate anche io.

Questo era uno dei tanti motivi per cui odiavo la domenica.

Quella sera, Earl si sentiva particolarmente nostalgico e ci stava deliziando con gli album del 1991 dei Guns N' Roses, Use your Illusion I e II, che stava ascoltando a tutto volume fregandosene delle urla della gattara pazza della casa accanto che gli intimava di abbassare minacciandolo in svariati modi.

Don't cry stava accompagnando le sbuffate di fumo mie, di Ben e Noah e per un po' restammo in silenzio, cullati dalle parole e le note di quella canzone mentre, stravaccati sulle sedie in veranda, eravamo immersi ognuno nei propri casini.

Ben ci aveva astenuti dall'essere circondati da gente a caso nonostante fossimo ancora in piena estate e ogni giorno fosse quello ideale per sballarsi a una festa.

Quando la canzone era quasi terminata, Ben sospirò rumorosamente. «Voglio sistemarmi». Dichiarò prima di spegnere lo spinello nel posacenere. «Voglio trovare una donna e mettere su famiglia. Ho quasi trent'anni ed è arrivato il momento iniziare a circondarmi da tanti piccoli Ben che scorrazzano per il prato».

«Che cazzo ci fai con i figli?». Gli domandò Noah visibilmente contrariato dalle sue parole, soprattutto perché lui li aveva superati da poco i trenta. «Devi stargli appresso in continuazione. Non sono autonomi almeno fino ai dieci anni. A quanto pare, fino a diciott'anni sei costretto a provvedere a loro economicamente e probabilmente romperanno le palle anche quando torneranno a casa a quarant'anni».

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now