41. L'avvertimento

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Dovevo togliermi Emma Cooper dalla testa.

Facevo fatica a riconoscermi e mi infastidivo da solo.

Non smettevo di pensare alla sua bocca che avevo avuto a portata di mano per tutto il pomeriggio e che solo cinque giorni fa avevo assaggiato.

Emma e il suo tocco delicato si erano insinuati nella mia testa con una prepotenza così sfacciatamente dolce da avermi fatto rendere conto del danno quando ormai era troppo tardi.

Per questo, avevo chiesto a Sutton di passare.

Dovevo togliermi dalla testa il sapore delle sue labbra e la sensazione della sua pelle sulle mie mani, di cui stavo subendo indegnamente gli effetti da giorni ormai.

Il giorno prima, seduto a quel maledetto tavolino con lei, avevo cercato in tutti i modi di sfiorarla. Per fortuna, lei non si era resa conto di niente. Era così tanto convinta che non sarebbe mai potuta piacermi che non le avrebbe fatto cambiare idea neanche una dichiarazione d'amore urlata a squarciagola dalla rampicante della sua camera.

Meglio per me, comunque. Avrei sfruttato quel vantaggio per continuare a farglielo credere, concedendomi solo di tanto in tanto di sfiorarla o averla più vicina di quanto mi fosse consentito.

Per questo, stavo baciando Sutton che era a cavalcioni sopra di me.

Le tolsi la maglietta e lei fece altrettanto con la mia.

La sua lingua era stata sempre un ottimo deterrente e, quando passò al mio collo intenzionata a scendere sempre più giù, non opposi nessuna resistenza. Anche se dovevo concentrarmi parecchio per non deviare l'attenzione dalla sua lingua al ricordo di quella inesperta ma tremendamente eccitante di Emma.

Quando la bocca di Sutton arrivò al capolinea e le sue dita iniziarono a slacciarmi i jeans, il volto di Emma non se ne voleva proprio andare dalla mia testa.

«Forse è stata una pessima idea». Avvisai Sutton rimanendo concentrato.

«Perché?». Mi domandò con le parole interrotte dai baci che mi stava dando nella zona del basso ventre.

«Sono troppo stanco, oggi». Buttai lì la prima motivazione valida che mi venne in mente.

«Non mi sembra». Constatò dopo avermi liberato anche dai boxer.

Mentre la sua mano stringeva la mia erezione, mi arresi alla realtà dei fatti: ero così eccitato perché stavo immaginando quella di Emma.

Ordinai a me stesso di aprire gli occhi, smettere di pensare a lei e concentrarmi su Sutton che era stata sempre divina con i lavori di bocca. Ma ero sempre stato pessimo nell'eseguire gli ordini e quella volta non venni meno.

«Forse, dovremmo fermarci».

Ma ormai era troppo tardi. Sutton lo prese in bocca e io tornai con la mente a immaginare la bocca di Emma chiusa intorno al mio uccello. Quel fermo immagine bastò ad aggravare la situazione in mezzo alle gambe.

Misi una mano tra i capelli di Sutton cercando di allontanarla.

Sutton capì le mie intenzioni e finalmente mi lasciò. «Ma che diavolo ti prende oggi?».

Non feci in tempo a rispondere che qualcuno bussò alla porta.

«Ollie?».

Quando sentii la voce di Emma al di là della porta, scattai a sedere. Anche Sutton si tirò su, scoccandomi un'occhiata confusa e allo stesso tempo estremamente infastidita. E, quando Emma bussò un'altra volta, si sentì in dovere di rispondere.

«Occupato». Gridò.

«Ma che cazzo, Sutton!». Le ringhiai contro prima di alzarmi dal letto e tirarmi su boxer e pantaloni.

Come le ali di una farfallaTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon