18. La fuga

697 50 16
                                    

Emma

Se c'era una cosa che odiavo più dell'essere detestata, derisa, additata, presa in giro, era quella di essere ignorata.

Perché ignorare presuppone il non essere neanche preso in considerazione, invece tutto il resto presuppone almeno il riconoscimento che l'altra persona esista e respiri in quanto essere vivente che occupa uno spazio, proprio come la materia organica.

Mia madre, quella sera, mi ignorò.

Quando varcai la soglia di casa, mi stava aspettando seduta composta sul divano in soggiorno, con la sua tisana in mano e un'espressione delusa in viso.

Tanto l'avevo fatta grossa che non ero degna né della sua considerazione tantomeno della sua rabbia e, quando scandì lentamente la frase "Vai in camera tua, ne parliamo domani", facendo intendere che non voleva neppure sentire le ragioni o le scuse per le mie azioni riprovevoli, capii che tutti gli scenari apocalittici che avevo immaginato in macchina erano cartoni animati in confronto.

La mattina seguente la passai in uno stato di angoscia logorante. Mi madre era andata a lavoro, prolungando l'agonia del verdetto della mia condanna fin quando avrebbe fatto ritorno a casa.

Secondo i racconti di mio fratello, era venuta a conoscenza anche del raggiro che le avevo teso per sgattaiolare alla festa sulla spiaggia. Così, avevo messo nei guai anche Tamara che mi aveva retto il gioco, e questo aggravò a dismisura l'elenco dei crimini per cui avrei scontato pene capitali.

Mi sentii tremendamente in colpa quando Alex mi fece il resoconto completo della litigata tra papà e Tamara, perché lei era stata mia complice e lo aveva tenuto all'oscuro di tutto.

Insomma, non erano neanche le cinque del pomeriggio e io mi ero beccata già diverse strigliate, anche se nessuna di queste sarebbe stata paragonabile a quella della mia genitrice.

Mio padre mi rimproverò per le bugie che avevo detto. Tamara per aver lasciato da solo Alex in sala giochi. Persino Nathan mi aveva fatto una ramanzina sia per la festa alla Palafitte sia per la serata trascorsa al Dylan & Dog. Solo nonna si era astenuta dal sgridarmi, anzi cercò di farmi sentire meglio preparando una crostata, ma quel giorno neanche una buona dose di glucosio avrebbe potuto tirarmi su.

Mia madre arrivò dopo cena, come accadeva sempre nei periodi di fiera. Mi trovò sul divano, divorata dall'ansia che non mi aveva permesso neanche di godermi la puntata di Sex Education che stavo guardando con Alex. Ma ero solo il terzo rewatch, quindi non fu un problema fissare maniacalmente la porta di ingresso in attesa del mio carceriere. E, quando si spalancò, fui quasi sollevata. Almeno avrei potuto porre fine alla mia sofferenza.

Quando varcò la soglia, si tolse prima le scarpe e poi il foulard di seta. Lo fece con calma, ignorandomi. E già da lì capii che la mia punizione fosse appena iniziata. Poi, ci raggiunse in soggiorno e Alex spense la tv alla velocità della luce pronto a darsela gambe, ma riuscii a bloccarlo costringendolo a rimanere là con me.

Dopo che ci raggiunsero anche mio padre e Tamara, il processo poteva decretarsi iniziato.

«Ti rendi conto di quello che hai fatto?». Mi domandò, rimanendo in piedi per sovrastarmi dall'alto.

«Mi dispiace. Io...».

«Non voglio sentire niente. Non ci sono scusanti. Hai chiesto a Tamara di coprirti per andare a una festa. Sei andata a una festa quando l'ultima volta...». Non riuscì a concludere la frase. Si portò una mano al petto e sollevò gli occhi al cielo come per evitare di ripensare al mio piccolo incidente. «E non contenta sei andata di nascosto chissà dove lasciando tuo fratello da solo in mezzo a...». Alex provò a prendere la parola ma venne zittito con un gesto fulmineo della mano. «Sei un'irresponsabile, Emma, che non pensa alle conseguenze delle proprie azioni e se ne frega delle persone che vivono costantemente in pensiero per te. Hai fatto una cosa sconsiderata, pericolosa... Dopo tutto quello che hai passato, come puoi continuare?».

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now