42. Il tatuaggio

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Emma

Non è un colibrì, non è una farfalla. Sa solo quello che non è.

Queste sarebbero dovute essere le parole incise sulla mia statua.

Adoravo il cartone Balto, come tutti gli altri cartoni anni novanta e primi anni duemila che avevo visto e rivisto maniacalmente nel corso della mia infanzia. Uno dei miei preferiti era proprio lui, che non era un cane né un lupo ma più un incrocio mal riuscito che però, alla fine, aveva avuto la sua bella rivincita diventando un eroe.

Beccatevi questo, antipatici cani da slitta che lo avete sempre bistrattato!

Io, proprio come lui, sapevo di non essere un colibrì, perché avevo superato di molto i milleduento battiti al minuto, ma sapevo per certo di non essere neppure una farfalla, perché neanche le ali sarebbero bastate a farmi sentire come mi sentivo in quel momento.

Forse, mi ero reincarnata in un stazione spaziale e ora orbitavo intorno alla Terra insieme ai satelliti di Elon Musk.

Se Ollie mi avesse baciato un'altra volta, sarei stata sulla buona strada per diventare una sonda di esplorazione diretta su Marte.

«Vuoi mettere un po' di musica?». Mi chiese Ollie, dopo aver richiuso la porta dello studio alle sue spalle e aver dato due mandate.

«Non disturberemo?».

«La metteremo a un volume decisamente più basso rispetto al solito». Ollie andò dietro il bancone e poi mi passò l'iPad. «Scegli tu».

Presi l'iPad in mano e cominciai con il dito a scorrere verso l'alto cercando un titolo che mi attirasse tra la miriade di titoli presenti in quella playlist di Spotify.

Fu un'impresa ardua concentrarmi. Ancora dovevo riprendermi dal bacio selvaggio con cui ero stata travolta senza ritegno, e lo sguardo di Ollie fisso su di me non aiutava per niente.

Lui era come un fiammifero in mano a un piromane e io erba secca in piena estate pronta a essere infiammata.

Scelsi il primo titolo che mi saltò all'occhio.

«Adoro il film che l'ha come colonna sonora». Spiegai mentre le prime note di I don't wanna miss a thing cominciarono a risuonare a bassissimo volume dalle casse.

Poi, cominciai a gironzolare per lo studio, dove non ero mai entrata nonostante conoscessi le coordinate geografiche di quel luogo meglio di google maps.

Le pareti erano interamente tappezzate di disegni e il divano di pelle nera posizionato davanti a una di queste mi faceva venire in mente strane idee sul motivo per il quale ci trovassimo là, che dovetti sopprimere spietatamente quando Ollie riprese a parlare.

«Disegna qualcosa». Affermò di punto in bianco.

Mi girai di scatto. «Cosa?»

«Disegna qualcosa che vorresti tatuarti». Specificò, con i gomiti poggiati sul bancone e un'espressione in volto tremendamente sexy.

«Ma io non posso farmi tatuaggi».

Ollie aggirò il bancone, avviandosi verso una delle due porte. Lo seguii finendo in quella che doveva essere la sua stanza.

L'ordine da cui mi trovai circondata si sposava alla perfezione con l'odore di pulito misto a disinfettante.

«Non ti farò un tatuaggio. Sarai tu a farlo». Mi spiegò mentre trafficava con l'attrezzatura.

«E a chi dovrei farlo?». Gracchiai quella domanda, mentre mi guardavo intorno per controllare se ci fosse nascosto da qualche parte un folle cliente con la propensione al sadismo disposto a farsi tatuare da me.

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now