32. La maglietta

750 55 10
                                    

Ollie

Il pick up era fermo sul ciglio della strada.

Oltre la recinzione elegantemente rivestita da una siepe che sembrava essere stata disegnata con il righello, si ergeva una casa che avrebbe potuto essere la casa vacanze di una qualsiasi star hollywoodiana.

«Devo prenderla». Affermò risoluta Emma prima di voltarsi verso di me, distogliendo così lo sguardo dalla finestra della sua camera.

Eravamo seduti sui sedili del pick up da circa dieci minuti a discutere di quella maledetta maglietta.

«Me l'ha portata papà dal concerto dei Coldplay a cui andò anni fa. Mi aveva regalato il biglietto per il compleanno ma mia mamma mi vietò di andarci e, così, lui ci andò con Tamara. Fu definito il concerto più grande che abbiano mai fatto, A head full of dreams, a Los Angeles. E io ora devo assolutamente indossarla. Salirò su per la rampicante. Ci metterò pochissimo».

«La stessa rampicante da cui sei scesa quando ti sei presentata a casa mia con le braccia insanguinate?». Le domandai esasperato.

Emma annuì. «Sì, proprio quella. Da piccola, facevo finta di essere Giulietta che aspettava il suo Romeo affacciata al balcone, anche se è una finestra. Ovviamente il Romeo interpretato dal Leonardo Di Caprio degli anni novanta perché, cavolo, quanto era figo in quel film? Adoro quel film... ma nessuno è mai salito». Sbuffò un sospiro malinconico prima di tornare con lo sguardo fisso sul vetro abbassato del finestrino.

«Pensavo fossi amante degli horror». Notai sarcastico.

«Quelli li guardo per allentare la tensione». Mi spiegò scrollando le spalle.

«Vado io».

La mia proposta la fece voltare nuovamente verso di me. «Cosa? Ma non sai neanche dove sta! Non penso sia una buona idea».

«Non è una buona idea neanche che tu venga al concerto sanguinante».

Emma non sembrava per niente convinta, e dopo aver lanciato un'ultima occhiata alla sua finestra, abbassò imbarazzata lo sguardo sulle sue dita intrecciate in grembo. «È che non è giusto che la prima volta che entri nella mia camera io sia qui ad aspettarti invece di stare con te».

Quando ebbe il coraggio di alzarlo nuovamente, si beccò uno delle mie occhiatacce, davanti la quale abbozzò un mezzo sorriso di scuse.

«Okay, ti spiego dove sta».

Mentre salivo su per quella dannata rampicante, mi chiesi se si fosse trattato di effrazione anche se avevo avuto il permesso della figlia dei proprietari della casa dentro cui mi stavo intrufolando. Ma la domanda si dissolse nella mia testa nell'esatto momento in cui, dopo aver forzato la finestra secondo le indicazioni di Emma, mi trovai inginocchiato su un divanetto rosa posizionato sotto.

Quando i miei piedi toccarono terra, mi sembrò di essere finito in una dimensione parallela.

Anzi, mi parve di essere finito proprio in quel mondo di ovatta rosa dentro cui sembrava vivere Emma, e non solo perché ogni elemento d'arredo presente fosse rosa o di una sua sfumatura: il letto, le pareti, le poltrone disseminate per la stanza, le decorazioni alle pareti...

Le uniche interruzioni di quella egemonia cromatica erano le librerie, il tappeto che sbucava da sotto il letto, le farfalle attaccate alla parete sopra la testiera del letto e il soffitto su cui era disseminata una miriade di stelle.

Mia sorella, a dodici anni, avrebbe ucciso per una camera del genere.

Emma era ricca, molto ricca. Quel tipo di ricchezza educata che ti rende consapevole che al mondo ci sono più poveri che ricchi ma che saranno sempre il problema di qualcun altro e mai il tuo.

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now