38. Il colibrì

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Emma

Shinhai, oltre all'interpretazioni dei sogni, si interessava anche di vita dopo la morte, esperienze premorte e reincarnazione.

Era una vera appassionata e, in tutti questi anni di amicizia, avevo visto un numero sproposito di video sull'argomento per cui ero più che certa che io, nonostante non fossi morta - non ancora almeno - , mi fossi reincarnata in un colibrì.

Non c'era altra spiegazione che giustificasse la bomba impazzita a orologeria che avevo nel petto.

Il mio cuore aveva deciso che settanta battiti al minuto fossero troppo pochi per contenere il ricordo della lingua di Ollie dentro la mia bocca. Così si era preso la briga di aumentarli, portandoli a essere almeno milleduecento al minuto, cioè il numero massimo di battiti che può raggiungere il cuore di un colibrì.

Mi ero reincarnata in colibrì ma non importava. I colibrì sono così carini, colorati, amanti della vita e preziosamente utili al mantenimento dell'ecosistema delle foresti tropicali.

E, anche se al momento io fossi tutto tranne che utile al mantenimento dell'ecosistema delle mie parte bassi, sentivo comunque che mi stavano spuntando le ali.

Camminavano almeno a mezzo metro da terra e non riuscivo a smettere di sorridere. Così, quando raggiunsi Shinhai fuori la biblioteca del campus, mi beccai la sua solita occhiata contrariata.

«Emma, ti prego!».

Settembre era iniziato, la mia amica era tornata da tre giorni e io da tre giorni ero tornata all'inferno. Ma il modo in cui ero stata costretta a tornarci mi aveva fatto affrontare l'inizio del mio ultimo anno universitario con uno spirito particolarmente positivo, degno del colibrì in cui mi ero trasformata.

«Cosa c'è?». Le domandai sinceramente confusa.

«Non so se sia peggio come ti sei vestita o il sorriso molesto che non riesci a toglierti da quando Ollie ti ha baciato».

Al suono di quel dato di fatto, sorrisi ancora di più.

«Lo sai, vero, che ti ha baciato solo per farti tornare all'università?».

Sì, ne ero estremamente consapevole ma ciò non mi vietava di incorniciare il ricordo come best pic of the year.

«Comunque, sono felice che abbia usato la sua lingua per costringerti a tornare».

«Io sono felice solo del fatto che abbia usato la sua lingua». Dopo quella mia breve constatazione, riprendemmo a camminare verso il parcheggio. «E poi cosa ha il mio outfit che non va?».

Shinhai si sistemò lo zaino sulle spalle, lanciandomi solo un'ultima occhiata sbrigativa. «Seriamente? L'ultima cena dei Villains?».

Abbassai gli occhi sulla mia maglietta, un regalo di Nathan, in cui i Villains di tutti i cartoni Disney avevano preso il posto di Gesù e dei suoi followers più stretti per ricreare il Cenacolo di Leonardo Da Vinci.

Indicai Maleficient al centro del tavolo. «Non ti piace? Io l'adoro».

«Forse se non l'avessi abbinata a quella gonna floreale. Sembra che un Transformer abbia usato un campo di tulipani dell'Olanda come gabinetto personale. Inoltre, riuscirai a vestirti senza metterti addosso più di cinque colori?».

Misi il braccio fasciato sotto quello di Shinhai e la strinsi forte a me. Mi era mancata così tanto.

«Puoi dirmi tutto quello che ti pare ma niente riuscirà a far evaporare il mio buonumore. Neanche tornare in questo posto infernale è riuscito nell'intento. Sono troppo felice: tu sei tornata, Ollie mi ha baciato... È tutto perfetto».

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now