46. La prima volta

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Emma

«Ma so che proprio per questo, per il peso che dai alle parole, non mi dirai che vuoi farlo con me». Dissi cedendo al suo tocco, anche se non aveva la minima intenzione di dirmelo e nonostante desiderassi visceralmente sentirmelo dire.

Lo sguardo di Ollie scese dal mio viso al mio seno, particolarmente reattivo a ciò che stava accadendo.

«Quando Dio distribuiva le tette, io ero in fila allo stand delle malattie genetiche rare. Mi ostino a comprare una seconda quando dovrei avere una retromarcia. Comunque, hanno un sacco di benefici. Tipo che...».

Il mio tentativo di smorzare la tensione del momento svanì nell'istante in cui, senza staccare gli occhi dal mio corpo irrimediabilmente danneggiato, Ollie mi sfilò i pantaloncini facendoli scivolare lungo le mie gambe.

E, quando toccò anche agli slip, capii che non sarei riuscita più a dire altro.

Rimasi nuda di fronte a lui che era ancora completamente vestito, di fronte ai suoi occhi scuri che non smettevano di farmi sentire così... viva.

Quando tornammo a guardarci, mi resi conto che la teoria della relatività che cercava sempre di spiegarmi mio fratello era una verità assodata e indiscussa, visto che in quei pochi secondi in cui i nostri occhi si scontrarono avrei potuto racchiudere tutto l'infinito a nostra disposizione, se solo lui avesse continuato a guardarmi così.

Le sue mani si fermarono, dando la possibilità alle mie di iniziare a spogliarlo.

Il mio tocco, al contrario del suo, era incerto, traballante, inesperto.

Gli sfilai impacciatamente la maglietta, per poi passare ai jeans.

Ebbi qualche problema tecnico a sbottonare il bottone e la zip si incastrò per ben due volte. Ma una volta tirata giù, dovetti fare un respiro profondo perché il tessuto nero dei suoi boxer era visibile, come più che visibile era il rigonfiamento che si celava sotto.

Non ero mai stata con nessun ragazzo e ora ero nuda e intenta a spogliare l'unico ragazzo che io avessi mai desiderato.

Avrei voluto assaporare ogni interminabile secondo, immagazzinarlo nella mia memoria per averlo a disposizione e riguardarlo in rewind in caso di necessità, ma il mio corpo e la mia mente erano in tilt, completamente.

Il petto mi faceva male per quanto il cuore tamburellava senza controllo e, probabilmente, Ollie stava aspettando che proseguissi ma non ricordavo come ordinare al mio cervello di comandare il mio corpo.

«Hai bisogno di una mano?».

«No, ne ho due. Sto solo ricordando come usarle». Risposi continuando a fissare come una maniaca in mezzo alle sue gambe.

Per fortuna, l'ovaio policistico venne in mio soccorso comandando alle mie dita di infilarsi sotto l'orlo dei suoi jeans.

Accompagnai la loro discesa piegando le ginocchia e ritrovandomi così con il viso di fronte all'ultimo strato di stoffa che ci separava.

Osservai per un attimo e da più vicino quelle linee nere e caotiche impresse sulla sua coscia, le sue personali tenebre. Avrei voluto accarezzarle per dimostrargli che altro non fossero che inchiostro su pelle. Ma non riuscii a farlo perché sentivo gli occhi di Ollie fissi su di me.

Infatti, quando alzai lo sguardo, Ollie mi stava guardando con le labbra tese e serrate e il respiro affannato e, quando i miei occhi tornarono a guardare dritti davanti a loro, le mie mani si sollevarono per rimuovere anche quell'ultimo strato.

Nel momento in cui anche Ollie fu completamente nudo di fronte a me, un fremito si propagò attraverso il mio corpo.

Un fremito che non era terrore, ma neanche sicurezza. Forse più consapevolezza di non essermi mai sentita così in ventun anni di vita. Avrei dato qualsiasi cosa per prolungare quel momento fino a che quella sensazione non fosse diventata così familiare da sentirla solamente mia.

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now