Capitolo 3.

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Se possibile, il secondo giorno di scuola è andato anche peggio del primo: la sveglia ha deciso di non suonare, per cui sono arrivata in ritardo, cosa non gradita dalla professoressa di storia, una del terzo anno mi ha rovesciato il suo caffè bollente sopra e ora ho tutto il petto ustionato, mentre uscivo da scuola incazzata nera sono andata a sbattere contro il migliore amico dei fratelli Scott, Ethan Jones, il quale mi ha rivolto un mezzo sorriso teso e ha proseguito, andando verso i due: Damian mi stava guardando con odio e ha abbaiato incazzato nero qualcosa contro Jones, Jacob era più impegnato a scambirsi la saliva con una bionda seduta sul muretto per partecipare alla conversazione; inoltre mio padre mi ha costretto ad andare a pranzo a casa di Cristine, la quale ha esclamato esuberante che anche i suoi figli e il loro migliore amico saranno presenti. 
Fantastico, no?
Ad ogni modo, sono seduta sul divano con mio padre e Cristine, loro chiaccherano animatamente mentre aspettiamo quei tre, i quali avevano un'ora in più rispetto a me, oggi. I due fidanzatini hanno cercato di inseririmi più volte nella conversazione, ma le mie risposte a monosillabi hanno chiaramente espresso il mio non voler parlare. Casa di Cristine è decisamente più piccola della villa in cui vivo, però è meno fredda e molto più accogliente. La cosa strana di questa casa, però, è la totale mancanza di foto, niente di niente. Non ho chiesto spiegazioni, ho immagginato quale sia il motivo: lo stesso per cui io ho solo due cose di mio fratello. A quanto ho capito Damian e Jacob non vivono più con la madre dopo l'incidente, hanno preso un appartamento insieme da qualche altra parte, e, come per Luke, non posso biasimare neppure loro.
-MAMMA!- strilla la voce di Jacob Scott sull'uscio della porta, entra in salotto con il suo fare spavaldo e, appena mi nota, si blocca immediatamente, nel suo volto nasce quel ghigno che sembra il suo marchio di fabbrica -Oh, ci sarà da divertirsi- commenta osservandomi dritto negli occhi, io distolgo lo sguardo infastidita e lo punto nel vuoto, in quel momento entrano anche Damian e Ethan. 
-Niente sceneggiate, ragazzi- dice Cristine, gelida, osservando i suoi figli, poi nel suo volto appare un sorriso dolce -Ciao Ethan, è da un po' che non ti vedo- 
-Ciao Cristine- risponde semplicemente lui, Damian é l'unico a non parlare e fissa me, gelido, guardandomi come se fossi la cosa più marcia sulla terra e dovessi sparire dal suo salotto immediatamente.
-Ho detto niente sceneggiate, Damian- ripete sua madre in tono duro, osservando il figlio maggiore, quest'ultimo finalmente distoglie lo sguardo da me e lo punta sulla madre. 
-Certo, faremo la finta famigliola perfetta, mamma- risponde aspro e con disprezzo, fiondandosi in cucina. Ethan si dondola sui piedi, Jacob guarda tutto con un'espressione divertita, mio padre assume quell'aria fredda e distaccata che ha quando deve chiudere un affare importante, Cristine non sa dove guardare e io me ne sto seduta qui, guardando dritto davanti a me, tesa. 
Damian rientra in salotto con tre birre, ne passa una al fratello e una al migliore amico, poi si siede nella poltrona davanti a me e mi fissa, sorseggiando la birra fredda, fa un lieve cenno a Jacob e Ethan, senza mai spostare lo sguardo da me, il fratello abozza un sorriso ancora più divertito e si lascia cadere nel divano, esattamente accanto a me. Trattengo il respiro e mi irrigidisco maggiormente, pregando che questa sottospecie di tortura finisca; Ethan si siede nella poltrona accanto a Damian, nella stanza non vola una mosca. 
-Tra quanto si mangia?- chiede il ragazzo al mio fianco alla madre, che si alza con un sospiro.
-Ora vado a guardare, però siete arrivati prima ragazzi, potevate avvisarmi- dice severa, però sorridendo.
-Vengo anche io, cara- mi strozzo con la mia stessa saliva, incominciando a tossire. Mio padre mi fulmina con lo sguardo, senza motivo per giunta, poi si dileguano in cucina, lasciandomi sola nella gabbia dei leoni. 
In un attimo mi torna in mente quel che è successo ieri.
-Cos'è, paura di rimanere sola con noi, principessa?- mi volto di scatto verso di lui, trucidandolo con lo sguardo.
-Il mio nome è Charlene, usalo- ringhio furente, irritata dal soprannome. 
Solo due persone mi chiamano così, uno è morto e l'altro è a New York. Lui non è nessuno per chiamarmi così.
-Preferisco chiamarti principessa- sghignazza perfido, osservando la mia reazione. Prendo un grosso respiro, passandomi la mano fra i capelli e cercando di mantenere la calma, devo solo ignorarlo. 
Respira.
In questo momento avrei toccato la mia catenella, per ricordarmi di mantenere il controllo, perchè è così che funzionava fra me e Chris: lui combatteva, io respiravo; lui mi proteggeva, io lo calmavo.
-Mancano ancora quindici minuti!- sentiamo urlare da Cristine, in cucina. 
Prendo il mio cellulare sotto lo sguardo attento di tutti, li ignoro stremata e apro la chat con Luke.

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