Capitolo 35.

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Bevo un sorso del frappuccino senza distogliere lo sguardo dal computer, come se questo risolverebbe il problema della pagina bianca. Sono seduta in un piccolo Starbucks poco frequentato, adatto per stare tranquilli. c'è un musicista intento a creare una canzone sugli spartiti, due tavolini avanti a me; c'è una studentessa china sui libri e sui fogli, scrivendo probabilmente i compiti; al tavolino di fuori c'è una madre che osserva da lontano i figli, che stanno giocando nel parchetto di fronte al negozio; ci sono due signori anziani che parlano, tenendosi ancora per mano. Poi ci sono io.
Scrivere è sempre stato il mio modo di scappare dalla realtà, vivere in un mondo tutto mio senza preoccupazioni. Da quando è morto Chris, però, ho un blocco che mi impedisce di scrivere come scrivevo tempo fa': ora devo pensare attentamente ai gesti dei protagonisti e molte volte sto ore senza scrivere nulla, non sapendo che azioni far loro fare. 
E' frustrante. Ed è doloroso, per me: saper scrivere ma non riuscire a farlo. 
Io dico tante cose, anche se in realtà non posso dire nulla, e col tempo ho imparato a dire tutte le mie parole scrivendo, perchè scrivere è l'urlo del silenzio, del mio silenzio. Scrivere delle cose mi ha sempre reso più semplice sopportarle.
La prima volta che tornai a scrivere dopo il funerale fu per scrivere una lettera a Christopher, ma non riuscii a fare nulla: volevo scrivergli come mi sentivo, scribacchia frasi scollegate fra loro, a tratti insensate, poi le rileggevo e cancellavo tutto con tratti irregolari, spezzando le parole con l'inchiostro nero. Alla fine quello che ottenni fu semplicemente un foglio pieno di sbagli, errori, parole indistinte. Era tutto caotico, disordinato, incomprensibile. Ma non avrei mai potuto descrivere meglio come mi sentissi. 
Poi, le parole vennero.
E formarono frasi, poi un testo, e poi la lettera. Poi l'ho bruciata, e le ceneri le ho fatte volare dal palazzo più alto della città. Con un po' di fortuna, sarà arrivata anche a lui, ovunque sia. 
Venivo molto spesso in questo locale, con Chris: nessuno che ti conosce, nessuno che ti osserva, nessuno che ti ascolta. Un luogo dove stare tranquilli, dove essere se stessi. Qui ho creato le bozze del mio primo romanzo. Questo è un piccolo luogo felice. 
Prendo un bel sospiro e incomincio a scrivere. 
Ogni tanto mi blocco, frustrata, poi ricomincio, cercando di scrivere nel modo più vero possibile. Voglio lasciare il segno, quando scrivo, capite? Non voglio che il mio libro sia uno dei tanti, nelle librerie delle persone; voglio che il mio sia il libro sottolineato, consumato, pieno di segnalibri, foglietti, note, quello che tieni sempre accanto, nel comodino. Voglio lasciare il segno. E se non mi trovate con lo sguardo, cercatemi fra le parole che scrivo. 
"Vorrei ubriacarmi, lasciare che l'alcool ti dica le cose che io non avrò mai il coraggio di farti udire"
Dopo il frappuccino mi arriva un caffè, e poi un altro ancora, insieme a cheesecake allo yogurt decorata con fragole, more, lamponi e altri frutti di bosco; le ore passano e almeno metà capitolo prende forma sotto i miei occhi. 
Mi passo le mani sul volto, sentendo la stanchezza sopraffare la caffeina ingerita, poi il mio sguardo sul piccolo centrotavola: un vaso in vetro, dentro al quale sono posizionate tante piccole piantine grasse. Davanti al centrotavola c'è una scatolina in cui i proprietari del locale mettono un piccolo dono per chi si siede. 
Lo fisso attentamente, indecisa: l'unica volta che ne ho aperto uno, dentro ho trovato due targhette di metallo da incidere, una che porto ancora al collo. 
Non so perchè, ma oggi mi decido ad aprire quella scatolina, e all'interno trovo un piccolo ciondolo, una sfera di quarzo bianco; nel coperchio della scatolina c'è attaccato un foglietto con su scritto una frase indicativa: "Il quarzo bianco è la luce pura che vi aiuterà a trovare la giusta direzione".
Rigiro fra le dita la piccola sfera, osservandola come se ne dipendesse la mia vita.
Trovare la giusta direzione.
C'è anche la catenella, dentro la scatola, per cui infilo il ciondolo e la metto al collo, poi ritiro le cose e lascio i soldi, compresa mancia, sul tavolino. 
Devo raggiungere Caroline in un parco, e deve parlarmi. Sinceramente? Non ho idea di cosa aspettarmi, il che mi preoccupa abbastanza. 
Frustrata, mi passo una mano nei capelli, che oggi ho lasciato sciolti, arricciati in dei boccoli. Indosso una tutina in tessuto leggero, bianca con sopra stampati dei fiori, ha leggermente lo scollo a "V", si allaccia incrociando le spalline intorno al collo e ha le maniche che parte dal gomito fino alla mano, lasciando le spalle scoperte; ai piedi ho dei tacchi color carne molto semplici, con pochissimo plateau, molto comodi. 
Mi inoltro nel parco in cui io e mia sorella dobbiamo scelto: è chiamato il parco dell'arte, perchè di essa ne è pieno. Qualunque artista può venire qui ed esprimersi senza paure. Incontro una donna che usa un arco, completamente fatta di liane di legno, poi incontro un gigantesco tubetto di vernice arancione coricato sul prato e accanto a esso, come se fosse la sua vernice, tantissimi fiorellini del medesimo colore. Il punto nel quale ci stiamo incontrando è il mio preferito, creato in tema scrittura: salgo degli scalini fatti come libri e arrivo nei posti a sedere, uguali e disposti come una tastiera. 
Lì, c'è seduta Caroline, china su un album da disegno. 
E' decisamente la degna erede di mia madre: è una stilista formidabile, negli anni ha creato molte bozze di vestiti stupendi, ha molto talento. 
Mi siedo accanto a lei in silenzio, posando la borsa ai miei piedi. Lancio un'occhiata al foglio su cui sta disegnando e vedo un bellissimo abito da sposa stile scivolato, con qualche dettaglio viola e alcuni ornamenti in quello che sembra pizzo.
-La mamma lo ha bocciato tre volte- mi informa, senza distogliere lo sguardo dal disegno ne smettere di sfumare il colore della gonna. 
-E' bellissimo- rispondo calma, osservandola: Caroline sembra... stanca, spenta. 
-Ha detto che è a malapena mediocre- risponde allora lei, indifferente, come se non le importasse, anche se le importa eccome. Mia sorella ha sempre voluto disperatamente l'approvazione e l'affetto di nostra madre, molto più di quanto avesse mai voluto il mio o quello di Chris.
Ad ogni modo, il comportamento di nostra madre non mi sorprende granchè: distruggere le ambizioni degli altri per elevarsi. Mi sorprende invece che si stia comportando in questa maniera con la sua prediletta, in realtà. 
-Che sta succedendo, Caroline? Perchè mi hai contattata senza il suo permesso?- vado dritta al punto, decisa a non restare con quest'ansia un minuto di più. 
Mia sorella stringe notevolmente le labbra e si ferma, alzando lo sguardo davanti a noi. Aspetta alcuni secondi prima di rispondere, quando parla nel suo tono c'è una freddezza calcolata. 
-Mi sta rendendo la vita impossibile- 
Assorbo quelle parole con l'amara consapevolezza che non si tratta di un capriccio da ragazzina viziata. 
Non avrei voluto questo per mia sorella. 
-Spiegami meglio, Caroline- la sprono, calma -Se non capisco la situazione non ho idea di come io possa aiutarti- spiego poi con un sospiro, giocherellando con la targhetta di Chris. 
Che cosa diamine pensa che io possa fare? 
-Mi controlla in modo ossessivo, Charlene. Mi ha tolto le poche amiche decenti che avevo e le ha rimpiazzate con quelle che vanno bene a lei. Qualunque cosa io faccia di mia iniziativa è bocciata, oppure mi massacra emotivamente. Anzi quello lo fa di continuo- fa una smorfia schifata, riportando lo sguardo sul suo blocco da disegno -Non le va bene nessun abito che ho disegnato- fa un sorriso amaro -Quando è uscito l'articolo di Alexandra Rox ha dato a dir poco di matto- sento una leggera sfumatura di accusa nella sua voce, e finalmente i suoi occhi si posano su di me. Mi guarda con aspettativa, ma io non so che fare.
Come dovrei aiutarla? Cosa dovrei fare?
-Non so come aiutarti- ammetto sincera -Non so cosa vuoi che io faccia in realtà. Non so come vuoi che io mi comporti- 
-Sei l'unica persona che ho, Charlene- 
Il mio sguardo scatta sul suo, ma la sicurezza che ho sentito non vacilla nel suo viso.
-Non posso cancellare il passato, Charlene. Non posso cambiare di certo quello che ho fatto- dice amaramente, guardandomi -Ero scontenta, influenzata e volevo compiacere la mamma. Tu la disprezzavi, mentre per me era un modello da seguire ed eguagliare- gioca nervosamente con l'anello che porta al dito, quello che le abbiamo regalato io e Chris anni fa' -Voglio essere migliore di lei. Migliore di quel che sono stata- 
Mi prendo alcuni secondi per capire bene le sue parole, titubante. E' sua figlia, io non credo possa fare più di tanto, ma se Caroline sta male non posso di certo lasciarla sola.
"Sei l'unica persona che ho"
"Voglio essere migliore di lei"
-Non potrei nemmeno stare qui, lo capisci?!- ridacchia sarcasticamente, scuotendo la testa come se fosse incredula -Non mi permetterebbe mai di parlarti, di frequentarti, ma mi sento soffocare ogni giorno di più, dentro la gabbia di spine in cui mi sta mettendo- 
-Allora sei consapevole che qualora ricevessi il mio aiuto non si torna indietro?- chiedo piano, cauta, cercando di capirla.
-Non voglio tornare indietro e non voglio nemmeno stare ferma. Voglio andare avanti- dice decisa, guardandomi -Vorrei...- fa una smorfia nervosa, titubante -Vorrei farmi perdonare. Ho perso già troppo. Abbiamo perso già troppo- abbiamo perso nostro fratello.
-Ti ho vista, al funerale- ammetto senza un motivo preciso, voltando lo sguardo sugli alberi davanti a me. L'ho vista, ma non mi sono avvicinata, nonostante stesse piangendo.
E il passato non si può cambiare, ma di certo si può scrivere il futuro. 
Perchè è vero: abbiamo perso troppo. 
-Ti ho vista anche io- ribatte lei -Facevi schifo, tra l'altro, se lo vuoi sapere- m'informa con nonchalance, scrollando le spalle.
-Indossavo uno dei più bei completi dell'alta moda- obbietto, abbozzando un sorriso stanco.
-Allora ti sei dimenticata di guardarti la faccia allo specchio, sorellona- ribatte lei con ironia, puntando gli occhi su di me -Stai meglio, ora- commenta poi, titubante, velando una domanda dietro la sua affermazione. 
Mia sorella minore mi ha appena chiesto come sto. 
Mia sorella minore. Che mi chiede come sto. 
-Sto meglio, ora- confermo piano, dopo attimi di silenzio -Tu, invece?- le chiedo, sentendo il senso di colpa e il dolore farsi largo dentro di me. 
Sono sua sorella maggiore e abbiamo perso nostro fratello. Dovevo starle accanto nonostante tutto. Christopher l'avrebbe fatto, ma dopotutto è sempre stato lui, migliore di me, mai io. 
-Andrà meglio, vero?- questa volta, lo chiede. 
La guardo: guardo mia sorella, rivedendo la piccola bambina pestifera che urlava in giro per casa, scappando da Chris, correndo da me per chiedermi aiuto, protezione. Ora, è più grande, ma ha sempre quello sguardo, e in questo momento sta correndo da me, di nuovo, chiedendo scusa e aiuto. 
E' di nuovo qui, e mi guarda come se fossi l'unica in grado di fare qualcosa, in grado di proteggerla. 
-Andrà meglio, Caroline- le prometto, sicura. 
Non ho un piano, non ho idee, non ho nulla, ma se c'è qualcuno che sa creare problemi a nostra madre, quella sono assolutamente io. E Caroline starà meglio, me ne occuperò personalmente. 
Si alza tranquillamente, con ancora in mano il blocco da disegno.
-Hai talento, e sarai più brava di lei- la informo sincera, osservandola -Per questo boccerà tutto, perchè hai talento. Ha paura, e come chi ha paura, attacca prima di essere attaccata- Caroline fa spallucce, poi mi sorride davvero, e per me è impossibile non ricambiare. 
-Per questo non mai lavorerò con lei- risponde, altrettanto sincera, sempre sorridendomi -Quando vuoi iniziare lo spettacolo chiamami, sorellona- dice a mo' di saluto facendomi l'occhiolino, poi si volta e va via senza aspettare la mia risposta. 
Caroline è fatta così, dopotutto. 
 Mi passo le dita fra i capelli, poi mi massaggio la fronte, stanca e stressata. Non ho idea di come aiutarla, ma qualcosa mi verrà in mente, no? Prendo il cellulare prima di andare via, trovando un messaggio che mi lascia stupita più di tutto il casino che sta succedendo con Caroline.

Un Porto Sicuro.Where stories live. Discover now