Capitolo 34.

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Cerco nervosamente di allentare gli elastici dei due piccoli chignon fatti dalla parrucchiera, cercando di evitare un'emicrania nella prossima ora, poi passo nuovamente la tinta nude sulle labbra e faccio un grosso sospiro, non sentendomi minimamente pronta ad affrontare tutte quelle persone in sala addobbata come sono. 
A quanto pare la signora di casa, della quale non ricordo nemmeno il nome, mi ha scambiata per un dannato soprammobile, visto tutte le cose che mi ha mandato ieri. L'abito è nel mio stile però, e lo indosserei senza ombra di dubbio: fatto in tessuto di metallo colori oro, ricoperto si diamanti, con una cinta color argento fatta al medesimo modo. 
Il punto è che, messo insieme a tutti i gioielli luccicanti che mi ha dato, il tutto è decisamente "troppo". Sembro un dannato diamante vivente, non mi sarei mai conciata così. 
Evito di maledire Rosa, che mi ha costretta a indossare tutto quello che mi ha dato questa donna, e decido di uscire dal bagno in cui mi sono rinchiusa per alcuni minuti.  
Rivolgo sorrisi falsissimi a tutti i presenti e, prendendo un calice di champagne rosato, colore dominante in tutta la sala in modo estremamente nauseante, mi dirigo all'esterno, verso la piscina, dove c'è solo una signora che preferisce la solitudine a la sala affollata. 
Mi appoggio alla ringhiera, sospirando stanca, e osservo con calma la vista della città che offre questa posizione della villa, poi sposto lentamente lo sguardo verso la luna, in una notte priva di stelle. 
"Folle è l'uomo che parla alla luna. Stolto chi non le presta ascolto."
-Lei è felice, signorina?- 
Perdo dieci battiti, sobbalzando quando sento la voce della signora a due passi di distanza da me. 
-Come scusi?- biascico, scioccata. Mi ha chiesto se sono felice?
-Le ho chiesto se è felice, Charlene Thompson- ribatte stanca lei, senza guardarmi, ma continuando a fissare il mare che ci separa dalla città. Non mi sorprendo che sappia il mio nome, quello che mi sorprende, lasciandomi stranita, è la domanda. 
"Lei è felice, signorina?"
-Non credo di capire dove vuole arrivare, signora- dico lentamente, osservandola. 
E' una donna bellissima, ma sembra davvero stanca. Sembra che porti tutto il peso dei suoi anni sulle spalle. 
-Sto per morire, ragazza- spiega tranquilla lei, facendomi sgranare gli occhi -Mi hanno dato nemmeno due mesi di tempo, e mia figlia perde tempo a organizzare queste feste inutili. Lei di certo non è felice, io non lo sono mai stata. Lei, invece, è felice?- domanda di nuovo -Molte persone sono serene, ma poche sono felici, signorina Thompson. La felicità non è una cosa pronta: la si deve costruire. Non tutti, però, sono abbastanza forti da riuscirci, molti si accontentano. E me lo lasci dire: chi si accontenta muore, non gode. Muore.- fa un grosso sospiro, poi si alza dalla poltroncina e passa le mani sulle piaghe del vestito, stirandolo. 
Questa donna ha parecchi, parecchi soldi. E il vestito che indossa ne vale altrettanti. Ma è stanca, tremendamente stanca. La vita la sta abbandonando. 
Mi si serra lo stomaco, ma ricaccio indietro la pena che provo nei confronti della signora: una donna così non merita di essere compatita, ma ammirata.
Devi vivere una vita degna di essere vissuta, nel bene e nel male, anche se alla fine di tutto le scelte che hai preso graveranno sulle spalle. 
-Se mai sarà felice, felice realmente, in futuro, la prego, signorina, ci faccia caso. Quando siete felici, fateci caso- poi va via, rivolgendomi un sorriso tirato. 
Resto immobile, fissando ancora il punto in cui la signora era seduta. 
Il suo tono mi ha sconvolto: ha parlato come se non riponesse speranza in nulla. 
Ha vissuto, vissuto realmente, ma non era felice, non lo è mai stata. Una vita così, per quanto vissuta sia, è... vuota
Porto le dita sulle tempie, con la testa che mi scoppia dalla frustrazione: sto detestando stare qui, vorrei fuggire. Conciata così non mi sento a mio agio, ciò significa che non sono lucida, e a un evento del genere per me non è affatto un bene. Ma non è solo questo, a rendermi così. E' il fatto che tutto questo sta incominciando a starmi stretto. Il mio mondo, sta cominciando a starmi stretto. 
La mia vita è programmata. Non ho scelta, e mai ne avrò: resterò sempre Charlene Thompson, la stronza viziata erede di un impero che non si merita. 
Mi sento in trappola, costretta a un futuro che non so se volere. 
"Lei è felice, signorina?"
-Continui a scappare, Darling- non mi giro quando sento la sua voce, anche se sono sorpresa che sia venuto a questa dannata festa. 
-Mi domando come tu riesca a non farlo- rispondo semplicemente, continuando a guardare la città illuminata.
Io, che sono nata e cresciuta in questo ambiente, lo detesto. Lui, invece, che ne è completamente estraneo, sembra perfettamente a suo agio. O indifferente, per spiegare meglio il suo atteggiamento. 
E' indifferente a tutto. Ora, ieri, domani. 
-Sei sempre indifferente a tutto-  
Si appoggia alla ringhiera accanto a me senza dire nulla. E' una delle cose che apprezzo di più, di lui: la capacità di stare in silenzio. 
-Non a te
Porto i miei occhi su di lui, che abbozza un sorrisetto sghembo, guardandomi le labbra. Posa la mano sul mio viso, accarezzandomi lentamente la guancia.
-Non so se hai notato, ma tu di certo non mi sei indifferente- 
Serro forte le palpebre, andando incontro alla sua mano. 
-Ti piace confondermi- soffio, godendomi la sua pelle contro la mia.
-Lo adoro- si avvicina leggermente e il mio corpo percepisce il calore, il profumo, la presenza del suo. 
-Sei incasinato- 
-Tremendamente-
-Perché sei qui?-
-Perché ci sei tu- sussurra, come se fosse un segreto -Perché non lo puoi affrontare da sola-
-E sarò da sola, in futuro?- la mia voce trema, ma ho bisogno di sapere qualcosa, qualunque risposta lui sia disposto a darmi -Mi lascerai da sola, in futuro, Damian?- apro di nuovo gli occhi, che incontrano i suoi. 
Non ci leggo nulla, perchè Damian è un asso nel nascondere i suoi sentimenti. 
-Sei capace di odiarmi?- 
-Sei capace di farmi piangere?- 
-
Faccio un sorriso amaro. 
Non ho pianto per mio fratello, e se piangessi per altro mi odierei. E odierei chi mi ha fatto piangere. 
Anche Damian. Odierei anche Damian
-Sì- rispondo alla sua domanda. 
Poi mi bacia. 
Per ignorare. Ignorare quanto saremo distruttivi. 
Anche se mi fa male, anche se mi toglie il respiro, anche se è veleno. 
Perché mi fa bene, mi restituisce l'ossigeno, è l'antidoto. 
Perché è totale, assoluto. 
Quando torniamo in sala, io aggrappata al suo braccio, siamo diversi. Anche se siamo diversi già da un po'.
Il nostro rapporto sta cambiando ed è inutile negarlo o ignorarlo: non siamo bambini, siamo consapevoli di quel che succede fra di noi e non stiamo scappando. 
Ci guardano in molti e, anche se mi infastidisce, non posso biasimarli: io sembro una lampadina e Damian... beh, Damian in camicia nera, vestito elegante, è da mozzare il fiato.
-Charlene, tesoro!- stringo le dita attorno al braccio di Damian, che abbozza un sorrisetto divertito, poi sorrido falsamente alla donna di casa, della quale ovviamente non ricordo ancora il nome. 
Se Rosa sapesse che non ho idea di come si chiama chi ha organizzato questa festa mi ammazzerebbe. Affronto troppo superficialmente la situazione? Probabilmente si, visto che questo sarà il mio futuro. 
-Salve, è un piacere conoscerla di persona- mi costringo a dire in tono cordiale, evitando accuratamente di far capire che il suo nome mi è totalmente sconosciuto. 
La donna davanti a me sta cercando di combattere contro la vecchiaia, e non ci sta decisamente riuscendo: abiti e vestiti costosi per distogliere l'attenzione dal suo aspetto che sta accusando il colpo del passare degli anni, troppo trucco sul viso e decisamente troppi interventi chirurgici per togliere le rughe e gonfiare le labbra. 
-Sei meravigliosa- dice soddisfatta, facendomi la radiografia -Avevo proprio ragione, l'oro si sposa benissimo con il tuo incarnato. Sei soddisfatta, tu, tesoro?- non è cortesia genuina, quella dietro le sue parole: è adulazione verso mio padre attraverso me. Perchè se le persone soddisfano i bisogni della principessina viziata dei Thompson, allora paparino potrebbe sborsare più facilmente i suoi soldi. 
Vorrei sputarle in faccia, come vorrei sputare in facci a tutte le persone qui presenti: false, ipocrite, che pensano solo ai soldi. 
Invece sorrido di nuovo e mantengo la maschera. 
-Assolutamente- quasi ringhio, notando il suo sguardo andare verso Damian. I suoi occhi si illuminano, mentre assume un atteggiamento disgustosamente sensuale. 
-Il tuo bel accompagnatore chi sarebbe?- 
Bel accompagnatore. 
Detto in quel modo da voltastomaco. 
Dio, potrebbe essere suo figlio. Ed è sposata, con l'uomo che sta cercando di entrare in affari con mio padre. 
-La mia vita privata- la avverto con un sorriso velenoso. Vuole adularmi? Ottimo, lo faccia come si deve. 
Tutti sanno che la mia vita privata è off-limits per tutti. E' il limite che nessuno deve superare, se non vogliono avere problemi. 
E questa donna non vuole averli, considerando la portata del contratto che ha paura di perdere se non riesce a fare buona impressione su di me. Come se io influenzassi il giudizio di mio padre sugli affari. 
Dio, è dannatamente ridicolo. Mi credono davvero una ragazzina viziata che farebbe i capricci con suo padre se non soddisfano tutte le mie esigenze. Non che io abbia mai chiesto qualcosa eh, sono tutti film mentali che si fanno loro, da soli. 
-Oh, ma certo, indubbiamente- ridacchia nervosamente la signora davanti a me -Spero che la festa sia di tuo gradimento, tesoro. Qualunque cosa ti serva non esitare a chiedermela, ti sarà dato tutto. Buona serata- 
Faccio una smorfia irritata, osservandola mentre si dilegua. 
-Terrorizzi le persone, sorellona?- mi gelo sul posto, irrigidendomi come mai nella vita. 
Mi scosto da Damian di scatto per girarmi verso la voce non sento da ormai troppo tempo. 
E quando la vedo, ingoio l'acido e l'amaro che sento nella lingua. 
Mia sorella minore è davanti a me in tutta la sua bellezza, nel suo atteggiamento fin troppo uguale a quello di mia madre. Mia sorella minore, quella che quando ha frequentato me e mio fratello ha solo visto il nostro conto in banca, come tutti. Quella che ha tentato di rubarci dei soldi. 
-Caroline- il mio tono è glaciale. 
Mia sorella sorride divertita, guardando prima me, poi Damian e di nuovo me. 
E' identica a me. Ed entrambe siamo identiche a nostra madre. In tutto e per tutto. 
-Sono... stupita- schiocca la lingua nel palato, ma parla con un tono calmo, attenta a non attirare l'attenzione -Non pensavo di vederti- ovviamente è una bugia. Sapeva esattamente che mi avrebbe trovato, venendo qui. 
-Certo, ne sono convinta- ribatto fredda, facendo un passo indietro, con l'intenzione di andarmene. 
Non sopporto di vederla. Non sopporto di ricordare come anche lei sia... come tutti. Non sopporto di ricordare il tradimento, e il dolore che ho provato. 
Mia sorella, sangue del mio sangue. 
-Non mi chiedi come sto?- mi chiede in tono acido, altezzoso -Non si direbbe nemmeno che siamo parenti- stringo le labbra in una linea sottile -Sono ancora il tuo sporco segreto, vero, Charlene?- le scocco un'occhiataccia. 
Nessuno sa chi sia mia sorella, fortunatamente per lei. Mia madre non ha mai detto pubblicamente il suo nome, lasciandola fuori dalle gogne mediatiche, e nemmeno io ho mai detto nulla, ne mio fratello, per tutelarla: essere la sorella di Charlene e Christopher Thompson, se non sei preparata, ti potrebbe sconvolgere la vita. 
Da piccolina Caroline ci accusava di vergognarci di lei, e credo che abbia sempre sofferto il fatto che, in qualche modo, la "nascondessimo". 
-Hai bisogno di qualcosa, Caroline?- chiedo duramente -Non fare giochetti e vai dritta al punto. Che cosa vuoi?- 
Nei suoi occhi passa una scintilla di rabbia, ma è brava a nascondere e controllare le sue emozioni. Ha imparato le regole base, la ragazzina. 
-Ho bisogno di parlarti- sbotta piano, avvicinandosi calma, senza attirare l'attenzione -Credi di potermi dedicare qualche ora del tuo tempo, uno di questi giorni?- torna ad avere quel tono acido. Alzo le sopracciglia, guardandola. 
-Devi migliorare la tecnica, sorellina, non è questo il tono che devi usare se vuoi ottenere qualcosa- la avverto, ed è vero: se vuoi sopravvivere, impara le regole e affina la tecnica. 
Cosa vuole? Perchè ha bisogno di parlarmi? E perchè non le rido in faccia, voltandole le spalle?
Perchè le voglio bene. Perchè fa parte della mia famiglia, nonostante tutto, e i Thompson proteggono e aiutano la famiglia, sempre. 
-Credi davvero che sarei venuta da te, se non fossi disperata?-chiede con una smorfia, guardandomi -Ho bisogno di parlarti, puoi mettere da parte per un attimo il rancore, Charlene?- 
La guardo per un attimo, nascondendo il nervosismo. 
Non ho fiducia in lei. 
-Dov'è nostra madre?- chiedo in tono neutro, osservandomi intorno: se ci fosse, lo saprei, o almeno l'avrei notata.
-Non c'è- ribatte subito, senza battere ciglio. 
La guardo impassibile, nascondendo il mio stupore. Non lascerebbe mai venire la sua bambolina da sola qui. 
-Non sa che sei qui- osservo quindi, ovviamente non le pongo nemmeno la domanda. E' ovvio che non lo sappia, perchè, come ho detto, non la lascerebbe mai venire da sola qui, specialmente se ci sono io, ed è ovvio che ci sarei stata, oggi. 
-No, non lo sa- deglutisce nervosamente -Non ho tanto tempo, infatti- mi fa notare, irritata. 
Se mi ha visto di nascosto, senza l'approvazione di nostra madre, dev'essere una cosa per lo meno importante. C'è un leggero sospetto che menta, ovviamente, ma non credo: mia madre non mi sopporta, non lascerebbe mai Caroline da sola con me, con il pericolo che sua figlia possa subire il mio lavaggio del cervello. 
Poi guardo mia sorellina, e sembra sincera, oltre che leggermente preoccupata. Preoccupata che le neghi il mio aiuto. 
-Potevi mandarmi un messaggio, il mio numero dovresti averlo- le faccio notare, facendola sbuffare e alzare gli occhi al cielo.
-Sarebbe bastato?- mi accusa lei, sarcastica. No, non sarebbe bastato. Non le avrei nemmeno risposto.
Non sono così ipocrita da negare la realtà. 
-Hai bisogno di soldi?- chiedo, schifata dal solo pensiero, sentendo l'acido nella lingua. 
Lei fa un passo indietro di scatto, visibilmente ferita. 
-Non ho bisogno dei tuoi soldi, Charlene, puoi stare tranquilla- sibila risentita, stringendosi le braccia al petto. Io faccio una smorfia infastidita, perchè doveva aspettarselo, dopotutto. 
E doveva nascondere la sua reazione, dannazione. Se si è esposta al pubblico in questo modo, dev'essere preparata. E non lo è, cazzo. Non possiamo nemmeno parlare qui, non posso rischiare che capiscano che lei non è solo la figlia di un imprenditore, ma anche la figlia di una stilista di fama mondiale, mia madre. 
-Mandami un messaggio quando sei libera, ti aiuterò, qualunque sia il problema- 
Lei stringe le labbra, come per trattenersi dal dire qualcosa, poi annuisce lentamente. Guarda un'altra volta Damian, che per tutto il tempo ci ha osservate, poi di nuovo me. Ovviamente lei sa chi è Damian, sa tutti i nostri trascorsi. 
Mi guarda attentamente, cercando qualcosa, ma poi fa un passo indietro. Non mi saluta, non dice nulla, e va via, scomparendo dalla mia vista. 
Mi si serra improvvisamente lo stomaco e la nausea si fa sentire.
Non la vedevo da anni.
-Andiamo via?- chiede Damian, calmo, senza accennare a quel che è appena successo. Faccio una smorfia, ma annuisco. 
Se mai questo sarà il mio futuro, lo sarà a modo mio. 
Non ho idea di che pensare. 
Mi mette la sua giacca sulle spalle, coprendomi dal venticello fresco di quest'ora della notte, poi mi trascina contro di lui, mettendomi un braccio intorno al collo. Appoggio il viso sulla sua pelle coperta dalla camicia elegante nera, beandomi del suo calore, mentre su di me sembra essere calato il gelo. 
Seduta poi in macchina, con una mano intrecciata con quella di Damian, non riesco a non pensare a mia sorella.
Sa cavarsela, ovviamente, dopotutto è cresciuta con mia madre, ed è una ragazzina sveglia, ma sono preoccupata. Qual'è il problema che l'ha spinta a parlare con me?
"Credi davvero che sarei venuta da te, se non fossi disperata?"
Appoggio la testa al sedile, facendo un sospiro frustrato. 
-E' uguale a te- dice Damian dopo un po', lanciandomi un'occhiata veloce. Continuo a guardare fuori dal finestrino,mentre rigiro la targhetta di metallo di Chris fra le dita della mano libera.
E' uguale a me.
-Ha provato a rubarci dei soldi- mormoro atona -Troppi soldi per ignorare il suo gesto- 
Lui non risponde, e credo non ci sia il bisogno che dica nulla. 
Arriviamo a casa sua, il silenzio ci accoglie, visto che Jake è ad una festa e dormirà a casa di Ethan. E Damian non è andato con i suoi amici, per venire da me. 
"Perchè non lo puoi affrontare da sola"
Vado dritta in bagno, ansiosa di disfare questa dannata acconciatura che mi fa venire l'emicrania. Si appoggia allo stipite della porta e mi osserva tranquillamente. Mi sento nervosa, sotto il suo sguardo. 
-Non vado alle feste- non so perchè glielo dico, ma deve saperlo già dall'inizio. 
-E?- chiede lui, alzando le sopracciglia, come se non vedesse il problema. 
-E quindi non verrei mai a nessuna festa- rispondo, cercando nervosamente di togliere le forcine dalla mia. 
-E?- chiede di nuovo, guadagnandosi una mia occhiataccia. 
-E non so cosa io ti voglia dire- borbotto frustrata, sciogliendo con forza uno chignon -Non avrai mai un fine-settimana ad una festa, con me. Mai un fine-settimana normale per la nostra età-
-Considerando quanto tu debba sopportarmi, credo di poter accettare di non andare alle feste per sbronzarmi fino a non ricordare nemmeno il mio nome, Darling- ribatte tranquillo, senza smettere di osservarmi. 
Non rispondo, cercando di soppesare attentamente le sue parole. 
Ha appena detto che rinuncerebbe ad andare alle feste per stare con me?
Lo guardo attentamente. 
Nemmeno tutti i fidanzati farebbero una cosa del genere. E noi non siamo fidanzati. Non ho idea di cosa siamo. Dovremmo parlarne?
-Mi stai guardando in modo strano- mi avverte, abbozzando un mezzo sorriso divertito. 
Ti guardo in modo strano perchè il nostro rapporto è cambiato. Ti guardo in modo strano perchè mi fai desiderare di chiarire tutti i dubbi. 
-Cerca qualcosa nel mio armadio per cambiarti, io preparo il caffè- mi dice prima di andare via. 
Finisco meccanicamente di sciogliermi i capelli, con la testa invasa dai pensieri. 
Posso tornare a quando la mia unica preoccupazione era evitare che Christopher finisse a letto con la supplente di matematica giovane e super sexy?
Sistemo ordinatamente le forcine in un cassetto e vado in camera sua per prendere qualcosa da mettermi, desiderosa di togliermi di dosso questo dannato vestito e tutti i gioielli. Mi infilo una sua felpa e getto tutto in una busta (tacchi compresi), appuntandomi mentalmente di sbarazzarmene il prima possibile, in qualsiasi modo: non sono il burattino e tanto meno la bambola di nessuno.
-Ti ho preso una tazza- annuncia tranquillo appena mi sente entrare in cucina. 
Corrugo le sopracciglia, andando vicino a lui, intento a fare il caffè. Appoggiate di fronte a lui ci sono due tazze, delle quali una che non ho mai visto: è bianca in ceramica, sembra fatta a mano, i bordi non sono regolari e c'è scritta la parola "pause." in nero. 
Mi lancia un'occhiata perlustratrice, guardandomi dall'alto in basso, poi abbozza un sorriso sghembo, compiaciuto, io di conseguenza faccio una smorfia: lui è davvero gigantesco in confronto a me e la sua felpa è larghissima, facendomi sembrare dentro un sacco, ancora più piccola di quel che sono. E a lui non sembra affatto dispiacere quando indosso le sue cose, fatto che accade molto più spesso di quanto mi aspettassi. 
Ma, in tutto questo, io sto ancora fissando la tazza. 
-Mi hai...- mi schiarisco la voce, passandomi la mano fra i capelli, nervosa -Mi hai preso una tazza?- domando incredula. 
-Stai qui molto spesso, Darling- fa un sorrisetto, poi mi fa sedere sul bancone della cucina e, come se nulla fosse, versa il caffè nelle due tazze, mettendomi infine la mia fra le mani. 
Lo osservo nello stesso modo in cui ho fatto prima. 
Mi ha comprato una tazza, e so che può sembrare un gesto privo di significato, davvero, ma mi fa sentire parte di questo luogo. Mi fa sentire parte della sua famiglia, parte di lui. 
Vengo qua molto spesso, ha ragione, e in questa casa si vede decisamente la mia presenza femminile: in bagno c'è un piccolo bauletto pieno di trucchi e prodotti per la skin-care, c'è la mia spazzola, decisamente tanti elastici, i prodotti per lavarmi in caso restassi da loro a dormire, uno specchio e anche i porta pennelli. Poi in camera sua ci sono alcuni miei libri (scolastici e non), il mio portatile, il kindle, i caricatori, altri oggetti... 
Ok, c'è decisamente la mia impronta, ho rivoluzionato la loro casa nel tempo, ma questo è un conto. Un altro conto è Damian che mi compra qualcosa per quando sono qui a casa sua, o, per farla semplice, solo Damian che mi compra qualcosa. 
 E, adesso che ci penso, ho paura di aver invaso la loro privacy. Ho assolutamente invaso la loro privacy, e non me ne sono resa davvero conto fino a ora.
-Dovrei portare via le cose da casa vostra, sto incasinando tutto- borbotto nervosamente, sorseggiando il caffè. Lui incarna le sopracciglia, guardandomi scettico. 
-Io credo che dovresti portare roba, invece- ribatte lui davanti a me -Non che io abbia qualcosa in contrario al fatto che tu indossi la mia roba, ma passare a casa tua per cambiarti ogni mattina, dopo che passi la notte qui, non è comodo- 
Lo guardo attentamente, con la gola che mi si chiude. 
Mi ha preso una tazza e vuole che porti dei vestiti qua. Forse è una sciocchezza, ma io non la vedo così. Non con Damian. Non quando si tratta di noi.
-Tu non...- chiudo forte gli occhi, frustrata -Non ti rendi conto di quello che stai dicendo, Damian- 
Quello che mi ha chiesto è... importante
-Si invece, Charlene- ribatte lui, calmo -Non ha senso fare finta che non stia succedendo nulla fra di noi, lo hai notato anche tu. Non siamo ragazzini- deglutisco nervosamente, poi nascondo il viso dietro la mia tazza, bevendo un sorso di caffè.
"Non ha senso fare finta che non stia succedendo nulla fra di noi"
No, certo che non ne ha, lo sappiamo perfettamente entrambi. 
-Quando ci siamo trasferiti qui mio padre era appena entrato in carcere- 
Mi si gela il sangue nelle vene, quando lo sento parlare. Ecco, questo, questo segna il punto di non ritorno, per noi due: lui che mi racconta di suo padre. 
Mi guarda attentamente, per scorgere qualcosa, o la scusa, che lo aiuti a battere in ritirata: una traccia di giudizio, probabilmente. Non ne trova, perchè io non giudico, non lo giudico: ne so qualcosa di famiglie disastrate. 
-Per...- mi schiarisco la gola, tremendamente nervosa -Per cosa?- lui abbozza un sorriso freddo, tagliente, e si avvicina a me, il suo sguardo mi trapassa, perchè ora, di nuovo, Damian si è perso. Il cuore mi sta scoppiando nella cassa toracica, chiudo forte gli occhi quando con le nocche mi accarezza la guancia. 
-Omicidio colposo- sussurra suadente, mormorando il suo segreto -Era un alcolizzato violento che aveva fretta di tornare a casa dopo una partita di poker andata male- non c'è rabbia, nella sua voce. Non c'è nulla.
Capisco immediatamente, ancora prima di recepire le sue parole, il gioco che sta facendo, la corazza che si sta mettendo addosso: l'indifferenza. 
Lo so, perchè è stato il mio unico modo per non autodistruggermi dopo la morte di Christopher. 
Era un alcolizzato violento che aveva fretta di tornare a casa. 
Aveva fretta di tornare a casa.
Cristine quindi...
Rabbrividisco, sconvolta. 
Io... io non ci ho mai pensato. Non mi è mai nemmeno passato per la mente che lei...
Mio padre lo saprà? Per quanti anni quella donna ha dovuto subire? E cosa, cosa hanno visto i suoi figli? Cosa ha visto Damian, cosa ha subito?
Le cicatrici
Le cicatrici sulla schiena.
Apro di scatto gli occhi, per guardarlo come se non l'avessi mai visto.
Apro di scatto gli occhi per guardarlo per la prima volta. 
Poso delicatamente la mano sul suo viso, ma lui è ancora distante, perso.
-Mia madre...- ora è il suo turno chiudere gli occhi, come se volesse respingere i ricordi -Non so più chiedere aiuto, perchè quando l'ho chiesto, l'unica persona che me l'avrebbe potuto dare me l'ha negato. Per anni- la sua voce è amara, trema, forse dal dolore, dalla rabbia -Anche quando ho finito di urlare, anche quando la voce non usciva e le parole mi morivano in gola. Lei non mi ha mai aiutato, e io non so più chiedere aiuto. Il dolore non è stato permanente, ma mi ha ucciso- apre gli occhi, trovando immediatamente i miei -Non le posso perdonare questo- 
Ci vuole coraggio, non credete? Ci vuole coraggio per dire una cosa del genere. 
Coraggio, sì. Ci vuole anche tanto dolore, tanto vuoto, tanto freddo. Ci vogliono squarci.
Ma non lo giudico. Anche se è sua madre, non lo giudico. 
-Non si può perdonare tutto, Damian- sussurro con dolore, accarezzandogli il viso -Non si può perdonare tutto- mormoro di nuovo, ed è vero. 
Certe cose, non le puoi perdonare. Non significa chiudere i rapporti, non significa portare rancore, non significa non voler più bene, ma certe cose non le si può perdonare. 
Damian scuote la testa, come se non capissi. 
-Non la amo, capisci?- la sua voce continua a tremare -Le voglio bene, ma non la amo come un figlio dovrebbe amare la madre, e...- per un attimo passa luccichio di terrore, nei suoi occhi, perchè è terrorizzato da quel che prova, e si odia, lo vedo perfettamente -E non so amare, Charlene, mi è stato insegnato solo a odiare- 
Non ci credo. Io mi rifiuto, davvero, non ci credo: non quando lo guardo con Jacob, non di certo quando l'ho visto giocare con TylerE non quando mi guarda, quando mi sorride, quando mi bacia. 
Io non ci credo. 
A volte serve che qualcuno te lo dica, però. 
-Stai mentendo- lui sobbalza e mi guarda, mi vede -Non ci credo- ribatto, scuotendo la testa, osservandolo con convinzione, rabbia e paura -Io non ti credo, Damian Scott. Puoi raccontarti stronzate quanto vuoi, ma non a me: io nelle bugie ci vivo, so riconoscerle. E tu stai mentendo. Puoi...- deglutisco nervosa -Puoi non rendertene conto, ma non è vero. Quello che racconti a te stesso non è vero
E non importa se adesso si è allontanato di scatto, davvero non importa. Chi non avrebbe paura? Chi non proverebbe rabbia? Io ho avuto paura, ho provato rabbia, quando mi hanno sbattuto in faccia che Christopher era morto. Ma era la verità, e la verità fa paura, fa rabbia. E Christopher era morto, io non ci potevo far nulla, non posso far nulla. Christopher è morto, devo accettarlo. E Damian deve accettare che si racconta un sacco di stronzate.
Come ho detto, io non posso salvarlo, deve farlo da solo, ma deve vedere, deve provare, speranza. Per farlo gli si deve sbattere in faccia la verità, come a me è stata sbattuta in faccia la morte di mio fratello. 
Poi, dentro di te, inizia la guerra. 
Una guerra in cui crollano gli obbiettivi, anziché i palazzi; una guerra in cui crollano i pensieri felici, anziché le case; una guerra in cui crollano le sicurezze, anziché le chiese.
Una guerra contro te stesso. 
Se perdi, è finita. Se vinci, torna: l'equilibrio.
-Tu non mi conosci- sibila aspro, ferendomi. 
Quand'è che ti sei guadagnato il potere di ferirmi, Damian? Quand'è esattamente che ti sei preso quel diritto?
-Forse no, Damian, forse non ti conosco- ribatto calma, impedendomi di vacillare -Ma conosco le  maschere, so riconoscerle. Tu ne sei pieno-
-Non farlo, Charlene- ringhia in minaccia, fulminandomi con lo sguardo -Non ti azzardare- sibila furente, rabbioso, colmo d'odio per se stesso -Non puoi ripararmi- sbotta, andando via.
No, non credo di poterlo fare, ma nemmeno ci provo. Una cosa rotta resta tale, per sempre, ma si può... ricomporla. E' un concetto diverso. I giapponesi lo fanno, no? Se qualcosa si rompe, la si ricompone, attaccando le varie parti con dell'oro. Perchè se le crepe le nascondi, esse rischiano di soffocarti, ma se le lasci risplendere, possono farti vivere. 
Faccio un bel respiro per darmi una calmata, poi scendo con un balzo dal bancone della cucina, finisco velocemente il caffè e lavo la mia e la sua tazza, poi le poso sullo scolapiatti.
Spengo tutte le luci prima di andare piano in camera, trovandolo buttato sul letto a pancia in giù, con il viso sprofondato nel cuscino. E' sistemato dalla sua parte, a destra, mentre ormai io dormo sulla sinistra. Mi sistemo accanto a lui, titubante, appoggiando una guancia nel mio cuscino, mentre lo osservo. Ovviamente è sveglio, però non si muove e non mi guarda. 
Faccio una smorfia, avvicinandomi leggermente a lui. 
Non lo lascerò solo, a distruggersi la mente pensando troppo.
-I tuoi pensieri fanno rumore- sussurro lentamente, dicendogli una frase che mi dice spesso lui. 
Gira il volto verso di me, non dice una parola, ma mi guarda.
Non so esattamente cosa spinga due persone a legarsi. Forse conoscendosi, ridendo insieme, parlando, condividendo. O forse accade semplicemente perchè doveva accadere. Forse due persone si legano perchè due anime sono destinate a riconoscersi, trovarsi, amarsi, prima o poi.
"Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perchè in verità non s'era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perchè pur essendosi saputa sempre, mai s'era potuta riconoscere così"
Avevo sottolineato questa frase nel libro, quando lessi per la prima volta Italo Calvino, anni fa'. Non so perchè mi torna in mente ora, ne mi interessa saperlo, perchè subito me ne viene in mente un'altra, di Luigi Pirandello, scrittore, drammaturgo e poeta italiano.
"Ma credi sul serio, scusa, che per amare ci sia bisogno di sapere come si ama?"
Poso nuovamente la mano sulla sua guancia, accarezzandogli la pelle. Lui chiude gli occhi e posa la mano sulla mia, ma non la tira via: intreccia le nostre dita.
-Vorrei sapere a che pensi quando hai gli occhi chiusi- mormoro, imprimendo nella mia mente l'immagine che ho davanti ai miei occhi, circondata dal buio della camera. 
-Non odiarmi- 
-Non farmi piangere- 

Outfit di Charlene:

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Tazza:

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