- 56 - Un viaggio chiamato ricordi

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Ve lo dico subito ragazzi: Non si tratta di un vero viaggio nel tempo o un vero e proprio viaggio nei ricordi. Bianca vedrà solo la parte del suo passato che non ricorda. Si parla della vita di Bianca non di quella di Ezechiele e quindi parliamo di un particolare giorno del quale lei ha un vero e proprio vuoto di memoria. Ora capirete perché :) Buona lettura e grazie per essere arrivati fin qui in questa mia contorta avventura!

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Sentii dei cadenzati rintocchi nel buio. Erano dei rumori tonfi e provenivano da lontano, ma qualcosa mi spingeva a raggiungerli. Sentivo di dover annullare le distanza fra me e quel suono. Un'odore familiare aleggiava nell'aria, il profumo rinfrescante dei limoni maturi si fondeva a quello dei gerani oramai sfioriti, abbracciandosi, volteggiando nell'aria in una danza carica di sentimenti nostalgici, ero a casa.

Aprii gli occhi finalmente.

-Bianca!

Sentii urlare. Mi guardai intorno, ero nella mia cameretta a casa dei miei genitori.

-Bianca!

Sentii urlare ancora e poi la donna aprì la porta. La testa fece capolino dalla fessura aperta.

-Mamma!

Urlai e mi drizzai in piedi. Le corsi incontro e le saltai addosso.

-Non mi incanti signorina! Non uscirai con quella scapestrata della tua amica!

Intimò severa.

-Quindi è quel giorno?

Chiesi più a me stessa che a mia madre. Come poteva sapere lei a quale giorno mi riferissi!

-Di qualunque cosa tu stia parlando, la mia risposta è no! Non uscirai oggi, sei in punizione!

Sì, era il giorno giusto, quello in cui Roberta si sarebbe finta morta. Il marchio era apparso quella mattina e i miei ricordi si fermavano proprio in questo punto, nel momento in cui mia madre mi guardava accigliata con i suoi occhi scuri del mio stesso colore e i capelli bruni legati in uno chignon dietro la testa.

La donna uscì dalla stanza ancora alterata e chiuse la porta dall'esterno. Non ricordavo cosa l'avesse portata ad avere quel comportamento, ma dovevo averla fatta davvero grossa.

Dei ticchettii richiamarono la mia attenzione, attirandomi verso la finestra dalle tende arancio e le api ricamate sui bordi. Era il momento, Roberta era arrivata.

-Roberta!

Dissi affacciandomi. La sua espressione furbetta era contornata da lineamenti dolci, proprio come la ricordavo, totalmente diversa dalla dea carica d'odio che mi aveva attaccata.

-Tsk! O tua madre ci sentirà! Muoviti, ho portato la scala!

Mi sollecitò. Sapevo che mi avrebbe fatta cadere, speravo di non farmi troppo male, ma non potevo tirarmi indietro. Mi sporsi dalla finestra titubante e afferrai la scala con le mani tremanti e incerte. Cominciai a scendere lentamente, temendo ad ogni gradino superato l'imminente caduta, fino a quando non accadde.
La scala oscillò e si allontanò dal muro e poi arrivò il senso di vuoto e il vento che mi frustava la schiena.
L'impatto fu molto violento e giunse subito, sentii i miei arti scricchiolare sotto il colpo accusato e il mio braccio piegarsi in modo innaturale. Rimasi stesa a terra tramortita, senza la forza di aprire gli occhi e con un dolore pungente che cresceva sempre di più, facendosi più intenso ad ogni respiro, bloccandolo in gola a metà, fino a quando non sentii la mia stessa voce.

Sgranai gli occhi e rimasi immobilizzata da quello che vidi. Il mio corpo era intatto pochi metri più in là, ma non mi apparteneva più. Era in piedi di fronte ad Astarte e la guardava torva, mentre io, la me cosciente, osservava la scena come uno spettatore curioso. Mi sollevai da terra, accorgendomi che ero tutta intera. Mi accarezzai il braccio che sembrava spezzato pochi minuti prima, ma non faceva nemmeno più male. Le due donne non sembravano accorgersi della mia presenza, mi ero sdoppiata, lasciando il mio corpo al controllo della comunicante.

Dark plumeWhere stories live. Discover now