- 62 - A casa

2.5K 166 48
                                    

Non avevo lasciato la Scozia prima di accertarmi che lei fosse riuscita a salire su quell'aereo e solo dopo averlo visto atterrare ed essermi assicurato che fosse sana e salva, avevo raggiunto il paradiso.

Sapevano già che avevo donato una delle mie prime piume e la notizia non era stata accolta bene. Era da tempo che non tornavo a casa.

Attraversai il cielo, volando oltre le nuvole visibili dalla terra; aumentai l'intensità del mio volo, superando la velocità del suono; mi feci spazio fra il secondo e il terzo strato di queste, accelerai ancora la corsa fino a raggiungere la velocità della luce e tagliai gli ultimi quattro strati di cotone bianco. Solo così i sette piani di nuvole si aprivano, mostrando l'entrata del paradiso con i suoi alti cipressi sempre verdi.

Era nascosto come uno scrigno che custodisce preziosi segreti e la chiave per aprirlo era la velocità. Nessun essere non celeste, sarebbe riuscito ad attraversare quelle sette porte e a entrarci e nessun anemone si sarebbe azzardato a farlo o si sarebbe incenerito non appena ci avesse messo piede.

I vestiti umani che avevo addosso erano scomparsi fra la quinta e la sesta porta e io mi ritrovavo scalzo ad affondare i piedi nei morbidi riccioli di ghiaccio, avvolto solo da una tunica azzurra, legata al busto con una spilla dorata. Solo una volta attraversate le sette porte avrei riavuto gli oggetti mortali che avevo addosso. Niente di umano poteva entrare in paradiso senza permesso, lì tutti vestivamo uguali e nell'ultima porta, la tunica azzurra appariva dal nulla a coprirci con la sua morbida fibra. Era lui a volerci così in casa sua, semplici e puri.

Avanzai sulla scia bianca circondata dagli alberi eterni, che, con le loro chiome affusolate, sembravano piramidi fatte di rami; schiacciavo i ciuffi soffici e delicati ad ogni passo, cauto e controllato, sotto lo sguardo confuso dei miei fratelli. Era già successo in passato, loro mi avevano già fissato in quel modo, potevo leggere nei loro occhi l'incertezza. Dubitavano di nuovo del mio operato, da quando Luce aveva fatto la sua scelta, loro non avevano mai smesso di lanciarmi quelle occhiate sospettose, convinti che io, il suo gemello, non potessi essere diverso da lui.

Avevano paura che anche io li abbandonassi, che li tradissi, ed anche se erano passati millenni da allora, non riuscivano ancora a fidarsi pienamente di me, in fondo ero io quello freddo e distaccato, forse si sarebbero aspettati un tradimento da parte mia e non dal primo serafino creato. Lui era quello perfetto, io cercavo di esserlo eseguendo ogni ordine che mi veniva rivolto. Eppure non era abbastanza.

La macchia scura che si diramava dal braccio scoperto e risaliva lungo il petto non era certo d'aiuto. Non sapevano cosa fosse, ma ne erano spaventati, perché il veleno nascosto sotto la pelle, aveva assunto un colorito violaceo, che in quel posto sembrava persino più evidente. Pulsava contro il torace con forza, come se volesse uscirne; era la purezza del paradiso a respingere il male ed io mi trovavo nel mezzo, forse mi avrebbe strappato la pelle di dosso, ma non potevo andarmene, ero stato richiamato, ed ora dovevo inchinarmi al cospetto dei tre troni.

Avanzai in silenzio fino ad arrivare alla scalinata grigia; lì i gradini ampi e alti avrebbero portato ai tre seggi. Percorsi ogni scalino, sentendo acuirsi il dolore al torace e l'ansia per quell'incontro improvviso.

Erano semplici, nessun fronzolo o brillante ad ornarli, potevano sembrare delle comuni poltrone se non fosse che erano scavate nel cristallo ed erano vuoti come sempre e come sarebbero sempre stati, perché nessuno di noi era degno di guardare il vero volto del creatore, né delle sue due proiezioni. La trinità, il più alto simbolo della fede.

-Sono al vostro cospetto, Padre.

Dissi con una mano sul cuore e un ginocchio affondato nelle nuvole candide.

Dark plumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora