- 63 - Bianco come il paradiso

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La stanza era completamente al buio

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La stanza era completamente al buio. Non sapevo per quanto tempo fossi rimasta lì, nell'oscurità, ad aspettare che qualcuno mi venisse a riprendere, ma oramai mi ero convinta del fatto che tutto fosse finito. Pensai che quella volta fosse davvero la mia ora. Nessuno sapeva dove fossi e l'idea che Michele avesse trovato un modo per tirare fuori Ezechiele dal mio corpo si faceva sempre più largo nella mia testa. Oramai solo quei pensieri riempivano la mia mente sconfitta.

La porta si aprì e uno spiraglio di luce si fece spazio tra le tenebre dense e fitte che mi circondavano.

-Alzati! -mi ordinò una guardia. 

Era biondo e snello, alto poco più di me e fasciato in un completo scuro e lucido.

-Perché?  -inquisii, sollevandomi malferma sulle gambe. Mi si erano atrofizzate per la posizione fetale tenuta per troppo tempo.

-E' il momento, comunicante. - rispose atono, strattonandomi per un braccio e tirandomi fuori da quella prigione.

Mi mostrò la via da seguire lungo le anguste gallerie dell'inferno fino a fermarsi d'avanti alla porta di una nuova stanza.

-Entra e vestiti. - ordinò aprendo la porta.

-No! - Cercai di sottrarre il mio braccio alla sua presa, agitandomi.

-Sarà meglio che tu lo faccia. - affermò e un ghigno malefico si manifestò sul suo volto pallido.-Qui non sei tra gli angeli e noi non abbiamo modi gentili per dire le cose.  

Gli occhi neri, iniettati di pura cattiveria, si scurirono ancora di più all'idea che io mi ribellassi e fosse autorizzato ad usare la forza. 

-Entra! - intimò ancora ed io con riluttanza attraversai la soglia di quella stanza. 

Le porte mi si chiusero alle spalle, rendendomi di nuovo prigioniera di quattro mura. Mi guardai intorno e subito mi sembrò familiare.

Un letto era posto al centro della stanza, ricoperto di coperte bianche e lucenti, mentre le pareti alle sue spalle erano colorate da affreschi che rappresentavano scene rurali. Sollevai lo sguardo e capii di non essermi sbagliata. Un lampadario in legno pregiato era riccamente intarsiato e pendeva giù dal soffitto come una radice fittonata, annodata agli archi alti e spruzzati di vernici vivaci. Era la stanza in cui mi ero svegliata nel mio primo sogno d'ombra. Mi resi conto che non era stata tutta una finzione, le cose che avevo visto erano reali.

Mi avvicinai al letto, attratta da qualcosa su di esso. Tra le morbide e lisce lenzuola in raso, qualcosa luccicava, distinguendosi fra la moltitudine di stoffa bianca, con i suoi intricati intrecci di filo che davano origine ad ampi disegni floreali. Un vestito color latte in organza, ricamato lungo tutti i bordi, dal colletto ai polsini. Era molto sobrio; lo aveva scelto di proposito. Era casto e candido, come la purezza del paradiso che tanto odiava.

-Bastardo! Non lo indosserò! Mi senti?  - Strepitai, ma la voce fece eco fra le quattro mura, senza però riuscire ad uscire da quel luogo.

Afferrai la stoffa leggera e con forza tirai i lembi verso parti opposte. Il vestito si lacerò con facilità, lasciandomi per un attimo vittoriosa.

Dark plumeWhere stories live. Discover now