22 - Bergamo, Lugano e Mugello

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[Sopra, il Repsol Honda Team]


La settimana dopo il weekend di Jerez de la Frontera fu piena di impegni per me. La prima cosa che feci fu presentarmi all'appuntamento dalla mia psicologa, accompagnata da Aida. La specialista fu felice di vedermi, dopo ormai anni che non mi vedeva più nel suo studio. Le raccontai tutto, letteralmente tutto: la maturità, l'università, la laurea, la novità del motomondiale, le parlai persino di Marc e dei problemi con Jorge. Non le menzionai la sfida con Andrea, non potevo rivelare questo dettaglio per la presenza di Aida. Infine, le spiegai il ritorno degli incubi e la nostra teoria riguardo la mia "nuova" paura. Secondo la psicologa, il nostro ragionamento aveva completamente senso, ma lei mi sconsigliò fortemente di continuare la mia esperienza nel motomondiale: a detta sua, c'era una sottile linea che divideva il processo dell'affrontare il mio nuovo timore e la possibilità di una pesante ricaduta. Doveva essere un percorso lento e graduale, ma lei vedeva il mio inserimento nel mondo delle moto come qualcosa di improvviso e deciso, troppo repentino e sfrontato. Il fattore dell' aver stretto amicizie tra i piloti aumentava di molto il rischio che stavo correndo: la psicologa era convinta che, se avessi continuato per questa strada, sarei sicuramente ricaduta in un periodo di costante ansia e terrore, richiudendomi in me stessa. Avevo già avuto modo di passare molto tempo in quella condizione, ed era sfiancante, oltre che autodistruttivo: avevo avuto bisogno di grande aiuto per poterne uscire. Tuttavia, non le diedi ascolto: io volevo rimanere in quel mondo e non volevo abbandonarlo. Specialmente non in quel momento, dove avevo il compito da tester da una parte e dall'altra dovevo disputare una sfida con Andrea davanti a tutti i piloti delle tre categorie. Per me era tutto troppo importante per poter mollare.

Successivamente fu il turno dell'uscita con Jorge. Ammisi che non ero per nulla entusiasta dell'idea di trascorrere del tempo insieme a Lorenzo: mi sarei trovata a disagio e in imbarazzo per tutto il tempo.

E così fu.

Innanzitutto, mi dovetti fare più di quattro ore di tragitto da sola, sui mezzi: due ore per l'andata, due per il ritorno. Nonostante vivessi a Bergamo, Lugano sembrava sì vicina, ma allo stesso tempo lontana: non me la sentivo di guidare in autostrada, per di più al di fuori del confine, per conto mio. Preferii optare per il treno: prima presi la tratta Bergamo-Milano Centrale, per poi salire sul convoglio diretto a Locarno. Sarei dovuta scendere alla fermata di Lugano Paradiso, dove avrei trovato Jorge ad aspettarmi. Mi mostrò la città in cui viveva, mi mostrò il suo appartamento, i suoi trofei, qualche sua chicca delle moto e delle macchine. Mi portò a pranzo in un bel ristorante, dove a quanto pare lui era un habitué. Ma il feeling non c'era proprio tra noi due: facevamo poca conversazione, io mi sentivo bloccata e piccola, mentre lui era quello che più delle volte riempiva i silenzi, parlando. Il tutto sempre con quella sua espressione seria, impassibile, a volte quasi incazzata e colma di arroganza. Non avrei mai voluto offenderlo, non volevo assolutamente dire che con lui mi ci ero trovata male: semplicemente non mi ci ero trovata proprio. Non mi sentivo a mio agio, i suoi atteggiamenti non mi rendevano spensierata; ogni cosa che facevo o che dicevo in sua presenza la ponderavo con attenzione in anticipo. Percepivo questo senso di rigidità e disciplina che mi ingabbiavano.

Fu palese che dopo quella giornata io e Jorge non uscimmo più per un secondo appuntamento.

Infine mi dedicai a quei due giorni al Mugello: aiutai il piccolo team di Dall'Igna a mettere a punto la loro primissima moto idonea per la categoria della Moto3. Rimettermi una tuta da corsa, con tanto di protezioni, ginocchiere, guanti e il casco dopo mesi mi fece sentire di nuovo nel posto giusto. Salire su quel prototipo di mini Ducati e sfrecciare nell'aria con essa fu un'esperienza inebriante. La moto non era ancora perfetta, aveva bisogno di qualche piccolo ritocco, ma rassicurai i meccanici: il loro duro lavoro nella progettazione di quell'esemplare era stato magnifico. Maneggiare un motore come quello di Ducati in Moto3 sarebbe stata un'enorme opportunità per i futuri piloti, me lo sentivo.

Il giorno successivo fu il giorno del giudizio. All'inizio del pranzo l'atmosfera era piuttosto rigida, così tanto da poter essere tagliata con un coltello. Shuhei Nakamoto sì presentò accompagnato da alcune persone che avevo già visto girovagare nel box di Marc: Alberto Puig, Team Manager di Honda, Tetsuhiro Kuwata, direttore del team, Takeo Yokoyama, il responsabile tecnico e Santi Hernández, capo meccanico di Marc. Con me c'erano invece Gigi e Giacomo Agostini, che non appena gli chiesi se volesse essere il mio agente sportivo per due settimane, accettò immediatamente con enorme gioia. La presenza di Agostini non passò inosservata tra i membri Honda, specialmente a Nakamoto, che lo salutò molto cordialmente, scambiando qualche parola. Al primo piatto sì iniziò finalmente a parlare liberamente, cercando di tastare un terreno comune e poter creare una sorta di rapporto tra i vari partecipanti al meeting, fino a quando, quasi alla fine del secondo piatto ci sì decise a parlare di trattative.

« Dunque vorresti correre con una nostra moto, richiedendo specificamente la 93 di Márquez » mi disse Nakamoto, curioso « Perché? Io ti ci vedrei meglio con quella di Pedrosa »

Yokoyama diede manforte al suo capo, sostenendo che la moto n° 26 fosse più maneggevole, perchè progettata per lo stile di guida dolce e preciso di Pedrosa, mentre quella di Márquez presentava un asset tipico di una guida molto più aggressiva e prepotente, più difficile da gestire. Il fattore peso non era dalla mia parte: la moto di Marc era più pesante rispetto a quella di Dani e questo mi avrebbe richiesto molta più forza nei cambi di direzione.

« Mi sarebbe piaciuto gareggiare con la moto che negli ultimi anni ha fatto miracoli, portandosi appresso sei titoli mondiali in sette anni » affermai io, speranzosa « e dimostrare che anche una ragazza è in grado di guidare una moto degna della Classe Regina »

Santi inarcò un sopracciglio, lanciando uno sguardo verso Nakamoto. L'amministratore delegato del Team Repsol Honda mi studiò, abbozzando invece un sorrisetto, perché avevo richiamato uno dei suoi principali obiettivi che sì era posto, provando ad ingaggiarmi anni fa per la Moto3.

« Così saremmo ancora i primi ad aver ingaggiato una pilota italiana » dichiarò infatti lui « Solo che al posto di essere la prima donna in Moto3 sarà la primissima donna al mondo che potrà correre con un motore da MotoGP »

Gli altri componenti della Honda non condividevano l'entusiasmo di Nakamoto, lo sì leggeva in modo palese sulle loro facce.

« Prima però, vorrei vederla su una moto » pretese difatti Alberto Puig, trascinandosi dietro le reazioni concordi di Yokoyama, Hernandez e Kuwata.

Quel Ferro Che Possiede Un' Anima || Marc Marquez [COMPLETATO]Where stories live. Discover now