30 - Mugello pt. 4

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Mi specchiai ad una superficie riflettente: la tuta della Honda mi calzava a pennello. Sotto ad essa indossavo le varie protezioni, sopra invece portavo le ginocchiere rosse dell'Alpinestars* fondamentali per le pieghe in curva. Gli stivali che avevo ai piedi erano della stessa tonalità di rosso e della stessa marca; stessa cosa per i guanti, ma quelli ancora non li avevo sulle mani, perché erano l'ultima cosa da indossare, dopo il casco.

Fissai il mio riflesso: erano anni che non mi vedevo più in quel modo, così ansiosa per una gara, con quello sguardo così serio, impassibile e concentrato.

Perché sì, in quei casi, la concentrazione era tutto.

Mi feci una coda alta per domare i miei capelli mossi che mi diede un'aria ancora più risoluta e determinata, oltre che combattiva, per poi voltarmi verso il varco che mi avrebbe fatto sbucare all'entrata della corsia dei box, che sì trovava verso il fondo della griglia di partenza. Per intenderci, il punto più lontano dei box che c'era dalla linea del traguardo, dove in quel momento tutti erano schierati. Prima di fare la mia comparsa, sbirciai di sottecchi senza farmi vedere: volevo capire come fosse la situazione con la folla dei piloti che ci avrebbero guardato gareggiare. Erano tutti ammassati nei pressi di Andrea e nei pressi della mia moto, ancora coperta e avvolta dall'incognito. Nessuno stava prestando attenzione verso la mia direzione, il che era ottimo: volevo fare un'entrata in pista dove nessuno sì accorgesse di me immediatamente. Volevo che fosse proprio Andrea a vedermi per primo, per mostrargli con chi davvero aveva a che fare, finalmente.

Mi voltai verso la mia equipe che mi avrebbe accompagnato e tutti ci facemmo un cenno d'assenso: era tempo del nostro showtime.

Con estrema naturalezza, senza attirare alcuno sguardo, sbucammo dal retro del paddock e attraversammo la pitlane, entrando in pista. Ci aprimmo a ventaglio: Alberto Puig, Santi Hernandez, io nel mezzo con la tuta e il mio sguardo serio, Casey Stoner e Shuhei Nakamoto. Giacomo era andato nel box Honda, lui sarebbe entrato in scena solo quando lo avrei chiamato. Avevo in mente una chicca per stupire tutti.

Con tranquillità procedemmo sulla griglia e notai immediatamente lo sguardo terrorizzato e sconvolto di Andrea, che ben presto attirò quello di Aida e di tutti gli altri spettatori.

Un silenzio calò nell'ambiente, mentre procedemmo fino a metà pista, dove ci fermammo, sempre tutti nella nostra formazione. Percepivo lo stupore dei piloti e dei membri di ogni team; nella folla cercai il volto di mio zio Flavio e quando lo trovai, vidi su di esso uno sguardo omicida, ma Dall'Igna gli impedì di aprire bocca e di raggiungermi. Sempre tra le facce stupite cercai quello di Marc: sulla sua potevo leggere solo la più pura e caotica confusione.

Ezpeleta e alcuni addetti diedero l'ordine di abbandonare la griglia e solo quando tutti raggiunsero la corsia dei box, noi riprendemmo la nostra camminata. Ad un tratto, Puig e Nakamoto ci abbandonarono, dirigendosi verso i box, lasciandomi in balìa di Santi e Casey.

Solo quando raggiunsi la moto, Andrea proruppe, scioccato: « Una Honda?! Sul serio Sofia?! »

« Una Ducati? » replicai io, canzonandolo « Sul serio, Andrea? »

Lo scambio di battute fece suscitare qualche risata in pitlane.

« Ero abbastanza convinto che pure tu avessi scelto la moto di Dovizioso » rivelò lui, preso contropiede.

« Mi hai dato la possibilità di correre con una moto da corsa da MotoGP, diciamo che ho voluto fare le cose un po' in grande » gli risposi, godendo delle sue certezze andate in frantumi.

« Eh, ho notato! » esclamò lui, lanciando un'occhiata a Stoner « Pure Casey Stoner è qua! »

Alzai le spalle: « Che tu ci creda o meno, lui è arrivato qui solo poco fa, come semplice supporter »

Quel Ferro Che Possiede Un' Anima || Marc Marquez [COMPLETATO]Where stories live. Discover now