Cap 1: Only one John Butler Trio

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Si impara a cantare già da piccoli.
Di solito lo si fa per svago.
Da soli, sotto la doccia, sotto un cielo stellato in compagnia di amici fidati.
In macchina in un giorno di piena estate, d'inverno sotto la sciarpa stretta al collo.
Si canta ai compleanni, alle feste comandate, ai concerti. A scuola, nei treni, nelle passeggiate solitarie.
Tutti sanno cantare.
Io ho imparato a farlo per non annegare.
È l'unica cosa che ricordo di mia madre.
La sua voce era identica alla mia.
Inverosimile dire che non posso farlo in casa mia. Ma è così.
"Caroline! Chiudi quella bocca" grida mio padre quando assorta mi perdo in note gentili.
Così, aspetto che se ne vada per poter ricominciare.
Nicolas dice che la mia voce esprime cose che le mie parole non sanno dire.
Mi piace pensare sia davvero così.
Senza di lui, mi chiedo cosa sarei adesso.
Un naufrago alla deriva, probabilmente.
Non ho una madre senza ancora avere ben capito il perché e non mi pesa dire che non ho neanche un padre.
Nessuno ha mai presenziato alle rappresentazioni scolastiche di fine anno. Nessuno mi ha dato la buonanotte negli ultimi dieci anni.
Incontro donne distratte, ogni mattina quando mi sveglio, escono dal letto di papà ancora distrutte per la notte trascorsa. Inciampo in bottiglie di birra lasciate a terra. Ascolto squallide conversazioni di cui farei volentieri a meno e aspetto che tutto questo casino che mi sta attorno, un giorno, scompaia.
Tutto ha una fine, niente dura in eterno.
Mi metto i guanti infreddolita ed esco di casa con un tremendo ritardo sulle spalle.
Inforco la bicicletta e maledico la mia mancata indipendenza, con due soldi potrei comprarmi una macchina di seconda mano ed evitare pericolose scivolate su lastre di ghiaccio ben posizionate ad ogni curva.
Il freddo mi intorpisdisce le mani, stringo il manubrio insicura e la mia pelle sbianca e si indurisce sotto questa brezza tagliente.
Nicolas come al solito compensa il mio ritardo con i suoi dieci minuti di anticipo.
Scendo dalla bicicletta al volo e la lascio cadere malamente sul muro accanto all'ingresso.
Ragazzi posati stanno seduti nella sala d'aspetto con i loro strumenti tra le gambe e guardano curiosi il mio camminare affrettato.
"Lo so. Non occorre tu dica niente" dico entrando nella terza stanza a destra, sfilandomi il cappello.
Nic distoglie gli occhi dall'enorme contrabasso che sorregge e accenna il suo abituale sorriso.
"Sono abituato ai tuoi ritardi Caroline" dice leggero.
Le sue dita toccano le corde spesse e un groove lento e coinciso si fa spazio nella stanza vuota.
Lo guardo muoversi preciso ad ogni suo tocco e mi chiedo quale sia lo strano motivo per cui, uno come lui, riesce a starmi accanto.
È difficile lasciarsi esplorare quando al posto della pelle si ha una corrazza spessa ed irta, con Nicolas non c'è stato bisogno di toglierla, ne indossa una uguale.
Le persone socievoli parlano senza interrompersi un solo istante al loro primo incontro, si scambiano superflue informazioni, muovono le loro labbra perdendosi in risate di cortesia.
Io e Nicolas non ci siamo scambiati una sola parola la prima volta che siamo incontrati. E ci siamo raccontati comunque.
La prima cosa che guardo in una persona sono le mani, dalle linee frastagliate sul palmo, dai nodi sulle nocche, dalle dita morbide, raccolgo più informazioni di quelle realmente possibili.
Difficilmente mi sbaglio.
Avevo guardato le sue mani estrarre il basso dalla cuatodia quel giorno lontano, le avevo viste esitanti di fronte alla mia presenza inaspettata.
Nessuno lo aveva avvisato che lo avrei aspettato in questa stessa stanza, seduta su una sedia.
Aveva stretto il suo basso come fosse l'unica cosa a cui potersi aggrappare e avevo subito capito.
Nicolas non era abituato a condividere la sua musica con nessuno, le teneva per sé le note che gli muovevano il cuore ed io, ero un'intrusa in quel mondo che custodiva gelosamente.
Lui aveva il suo strumento, io il mio, ci guardavamo senza sapere esattamente cosa fare poi lui aveva pizzicato le corde nervoso, si era appoggiato a poche note e senza rifletterci su io lo avevo seguito.
Ricordo il tempo che trascorreva lento, ricordo i suoi occhi che si perdevano nella mia voce, i suoi cenni composti nel dirmi quando fermarmi e quando procedere.
Non una parola in quel giorno.
Solo musica.
"Pronta?"dice posizionando gli ultimi cavi.
"Non ho mai pensato di non esserlo" dico perdendomi in un sorriso sentito.

NUMB Richard  DAL 21 NOVEMBRE IN TUTTE LE LIBRERIEWhere stories live. Discover now