Cap 65: Gale Song The Lumineers

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A Jessica e al mio distacco

Nicolas

Cos'è il distacco che sento dentro?
Questa cicatrice profonda che mi porta lontano da Richard?
Vorrei un aereo su cui salire ora.
Un aereo che mi porti da mio padre.
Voglio un suo abbraccio. Una sua parola.
Stringerlo forte e sentirmi dire che andrà tutto bene.
Che Caroline tornerà e che anche Richard, un giorno lo farà.
Cos'è il distacco che sento dentro?
Una difesa naturale che si prende lo spazio che mi sono concesso?
È il fermo ad un lascivo lasciarsi andare.
È la consapevolezza di poter soffrire.
È la durezza dei sentimenti che si attaccano sul cuore senza che io possa affrontarli realmente.
Il mio corpo, vicino a quello di Ric sulla Ducati, torna di nuovo un ricordo lontano.
È l'immagine sbiadita di qualcosa a cui lui, non si sente ancora pronto.
Questa è una delle mie rivoluzioni più grandi, è la sensazione di un'impotenza che forse, non sono in grado di affrontare.
Caroline.
Dove sei?
Ho bisogno della tua fragilità.
Del tuo sentirti inerme.
Ho bisogno di avere qualcuno di cui prendermi cura.
Un notte più sola di me, cerca compagnia.
Mi lascio accompagnare dalle sue braccia avvolgenti, mi lascio guidare.
Percorro il Cam e sento sulla pelle l'umido delle sue acque calme.
Questo è il silenzio di cui ho bisogno, mi riempio di una pace che so momentanea.
Arriva per tutti il momento di fermarsi.
Arriva e senti il suo richiamo dentro.
Questo è il mio.
E mi fermo.
Fermo la mia ricerca, fermo la mia ostinazione verso il raggiungimento di mete che non ho mai intravisto.
Fermo il mio bisogno di sentirmi fratello prima ancora che me stesso.
La Ducati si spegne sull'erba umida, il suo stare in piedi senza starci veramente mi dice che anche barcollando ci si può sentire ben ancorati a terra.
Stringo il giubbotto sul petto, passo la mano sulla mia frangia spettinata e mi lascio cadere a terra alla ricerca di un cielo che con le sue stelle mi può portare a chi sono.
Cos'è questo distacco?
Cos'è questo sentirmi improvvisamente lontano da me stesso?
È il sintomo di una sconfitta.
La consapevolezza di non essere pronto a tutto.
L'esigenza di un cedimento, messo lì, apposta per me, un inciampo calcolato, un sentirmi poco invincibile.
Più umano di quel che voglio mostrare.
Le mie dita si muovono senza che io gli dica cosa fare, rovistano nella tasca del giubbotto, la pelle fredda mi lascia addosso un brivido freddo.
Guardo il display luminoso, una luce artificiale che mi abbaglia, nasconde le stelle nel cielo.
Chiudo gli occhi e digito un numero che troppo spesso dimentico.
Un filo diretto verso chi mi vuole bene incondizionatamente.
Mi fermo.
Sento il richiamo dentro.
È il mio.
Una voce calda mi attraversa.
Il tono di chi mi ha insegnato ad ascoltare entra sotto la mia pelle, si prende il movimento lento del mio sangue, entra nel mio cuore aiutandolo a battere.
-Papà- dico in un sussurro.
Una parola così vicina in questo momento.
Una parola che pronunciata nel modo giusto accorcia distanze che non posso percorrere.
Ascolto il suo respiro.
Guardo il cielo.
Mi cerco. E mi fermo.
Cos'è il distacco che sento dentro?
È il fermo ad un lascivo lasciarsi andare?
È la consapevolezza di poter soffrire?
Dimmelo tu papà.
Dimmelo tu cos'è.


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