109 - Nomi preziosi

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Agata lesse nel cuore di Tseren la paura per l'incolumità di Harris e si voltò, cercandolo disperata tra la folla. Non riuscì a individuarlo finché non vide Iikka Jerd, in piedi su un muretto, sbracciarsi animosamente verso il portone del laboratorio.

Harris sentì il ruggito di Tseren squarciare il fragore della battaglia, ma non capì che era un avvertimento diretto a lui, così come non vide il segnale dell'amico Fauno. Sentì però il sibilo della freccia che portava il suo nome.

Agata urlò con quanto fiato aveva in gola e chiuse gli occhi, stringendosi a Tseren per non vedere.

Il capo dei dissidenti cadde riverso sulla schiena, schiacciato da un peso sul petto. Nel rendersi conto che ancora respirava, tastò quella che aveva l'aria di essere una chioma molto lunga.

Prima che potesse capire cosa fosse accaduto, riconobbe la voce allarmata di IJ. L'amico lo scavalcò con un salto, parando al tempo stesso un'altra freccia diretta su di lui. Con una furia che non apparteneva al Fauno, solitamente spensierato, IJ raggiunse la parete di un edificio parzialmente demolito dai colpi scagliati dai macchinari della FSI e si arrampicò aggrappandosi alle grondaie in ferro battuto. Riuscì a raggiungere il ragazzo che stava caricando il dardo successivo e gli strappò l'arco di mano con i denti coriacei. Senza dargli il tempo di capire cosa stesse accadendo, Ikka Jerd lo afferrò per il colletto, strappandogli nella foga la maglia multicolore. Rabbioso, lo scagliò poi giù dal tetto, tornando a controllare immediatamente che il suo migliore amico stesse bene.

Con fatica Harris si era sollevato. Aveva riconosciuto al tatto una freccia conficcata nella schiena della persona che si era trovata evidentemente davanti a lui nel momento sbagliato. Sembrava una donna.

Preoccupato la rivoltò, in modo da verificare se ancora respirasse. Si trattava proprio di una giovane dai capelli castani con le punte schiarite dal sole.

Harris le scostò con delicatezza la chioma dal volto e quando incrociò un paio di occhi scuri, spalancati per la paura, sentì il cuore saltare un battito. Tremante, quasi la lasciò cadere, mentre un'ira incontenibile scalzava il senso di spaesamento.

Urlò per il dolore. Urlò perché nessuna parola sarebbe stata in grado di trasmettere ciò che provava in quel momento.

Il respiro della ragazza era affannoso e le mani si strinsero attorno alla veste bianca di lui, la veste di prigioniero, in una morsa ferrea.

«Cosa... perché...» mormorò il ponentino infine, cercando di capire se c'era modo di estrarre la freccia. Il colpo era stato però troppo preciso: il dardo si era conficcato a fondo, attraversando almeno tre organi vitali.

«Due volte» sussurrò lei di rimando. «Ti ho dovuto salvare la vita due volte. Maledizione, Harris. Maledi...» Un gemito, causato dall'impossibilità di respirare, le fece morire le parole in gola.

L'altro la tirò su, per aiutarla a respirare. Le passò la mano dietro la nuca, in un gesto che un tempo era stato per loro familiare.

«Zaydir» riuscì infine a proferire il ragazzo. E quel nome che aveva cercato in tutti i modi di tenere segregato nei suoi ricordi, quel nome che si era rifiutato di condividere anche con gli amici più stretti e che gli era sfuggito solo con Agata, in un momento di debolezza... quel nome gli sembrò improvvisamente dolce e prezioso come quando lo aveva pronunciato per la prima volta.

«Zaydir!» la chiamò di nuovo, stringendola finalmente a sé. «Zaydir non lasciarmi, non lasciarmi di nuovo.»

L'altra non aveva la forza di parlare, ma rispose a quella preghiera circondandogli il busto con le braccia sottili.

Harris, fuori di sé per la crudeltà di un ricongiungimento che gli avrebbe separati per sempre, non si accorse che qualcuno lo stava strattonando con forza.

Il primo degli Alicanti [completata]Where stories live. Discover now