8 - Un capello irruente

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Il ragazzo Drago era seduto al centro della gabbia e appena sentì l'uscio aprirsi puntò gli occhi blu, più smarriti che mai, sulla figura esile che si infilò tra le ante.

«Per un attimo ho temuto che fosse tutto un sogno» le disse mentre cercava di alzarsi sulle gambe traballanti. Vederlo in quello stato era straziante e Agata si sedette di nuovo vicino alle sbarre, sperando che lui facesse altrettanto.

«Da quanto non dormi?» gli chiese preoccupata.

«Intendi più di due ore di fila?» ribatté lui, mentre un sorriso forzato si apriva a fatica sul volto. Come faceva a spiegarle che ogni volta che provava a chiudere gli occhi sentiva un sapore di bruciato risalirgli la gola e le orecchie si riempivano delle urla di terrore delle persone che aveva ucciso? Il sonno portava gli incubi e gli incubi portavano i ricordi, ricordi che avrebbe preferito seppellire...

Seppellire.

Quante delle persone con cui aveva chiacchierato da ragazzo, quanti di quelli che lo avevano ospitato nelle proprie tende, giacevano ora a una manciata di metri sottoterra per colpa sua?

Il ragazzo ebbe un capogiro violento e si inginocchiò vicino alla propria Ascendente, lo sguardo che vagava nel vuoto.

«Che ne dici di riposare un po', Tseren? È bene che tu recuperi le forze per...» non completò la frase per paura che la FSI li stesse in qualche modo spiando. Una parte di lei continuava infatti a pensare che quella situazione fosse surreale: per quanto remota, c'era la possibilità che tutto fosse un piano sadico di A-8Z8 per farle abbassare la guardia. Di nuovo.

«Sono così stanco, Agata» biascicò Tseren in risposta e si allungò sul pavimento lurido della gabbia, senza però perderla di vista.

«Cerca di riposare qualche ora» gli sussurrò l'Ascendente dolcemente. «Io non vado da nessuna parte» aggiunse nel vedere che il Drago non aveva intenzione di chiudere gli occhi.

«Me l'hai già promesso un'altra volta, tanto tempo fa». Non era un rimprovero, ma di nuovo una semplice constatazione.

«Questa volta è diverso» ribatté la ragazza. Pur non sapendo perché era infatti certa che niente li avrebbe mai più divisi. Era come un assioma attorno al quale si era aggrappata la sua anima, nel punto d'origine della sua essenza c'era quell'unica certezza: da quel momento in poi lei e Tseren sarebbero rimasti insieme, fino alla fine. «Non vado da nessuna parte» ripeté decisa. E questa volta le sue parole parvero sortire l'effetto desiderato perché le palpebre del levantino si abbassarono lentamente.

Dopo neanche quindici minuti di riposo, Tseren fu colto da spasmi improvvisi. Era in dormiveglia, in un bagno di sudore, e Agata nel vederlo così vulnerabile prese a piangere silenziosamente.

Mentre si asciugava con una manica gli occhi arrossati, arrotolò l'altra attorno alla mano e afferrò con decisione l'avambraccio del Drago, sperando che sarebbe bastato quel gesto per tranquillizzarlo, come tanti anni addietro. Un tempo, infatti, era sufficiente sfiorarlo di nascosto per scacciare gli incubi e pregò che il legame Drago-Ascendente fosse ancora abbastanza forte da placare qualsiasi orrore torturasse Tseren nel sonno.

Il corpo del Drago bruciava a tal punto che ogni tanto Agata era costretta a ritirare la mano, ma subito avvolgeva l'altra nel tessuto della maglia e cercava di nuovo il contatto.

Quel pomeriggio la ponentina aveva l'impressione che il tempo scorresse ad un ritmo insolito; attraverso il tetto di vetro vide il cielo spegnersi, per illuminarsi istantaneamente del luccichio prezioso delle stelle. Con il capo appoggiato alle sbarre continuava a divorare ogni particolare di Tseren, nell'attesa vigile che lo scienziato con la treccia si facesse vivo.

Il primo degli Alicanti [completata]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora