48 - Pioggia infuocata

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Nonostante il numero di volte che aveva volato si contassero sulle dita di una mano, Tseren era talmente a proprio agio tra le correnti calde che serpeggiavano tra le colline, che Agata ebbe l'impressione che il Drago avesse volutamente deviato dalla traiettoria più breve.

L'Ascendente non era infatti in grado di leggere i pensieri e le intenzioni della creatura, ma unicamente le emozioni compresse nel suo cuore. Troppe emozioni per una persona sola.

Si stupì che, tra tutte, l'odio per A-8Z8 fosse quasi marginale, di certo molto meno intenso di quello che lei stessa, per anni, aveva nutrito di rabbia, umiliazione, invidia. Provava invidia nei confronti di quell'uomo terribile perché egli aveva trovato il modo di ottenere qualunque cosa desiderasse. Non esistevano, apparentemente, imprevisti sulla sua strada, né incertezze nei suoi ragionamenti. Persino il caso aveva chinato il capo di fronte alla più alta forma di intelligenza, dandogli il permesso di plasmare il mondo a suo piacimento, senza per di più che il mondo se ne accorgesse.

Una parte di lei temeva che il fondatore della FSI li stesse aspettando. Era paralizzata dalla possibilità che una trappola si fosse messa in moto nel momento in cui lui aveva permesso loro di fuggire; una trappola senza via d'uscita che, da un momento all'altro, poteva separarli di nuovo.

O forse si trattava di un gioco, l'ennesimo gioco di un uomo immortale annoiato dalla vita.

Persa tra quelle considerazioni e oppressa dalle emozioni Tseren, Agata non si accorse che la cupola d'oro della FSI brillava arrogante davanti a loro. Si morse la lingua, pentendosi di essersi distratta, e si avvinghiò saldamente al corpo del Drago.

Tseren era estasiato dalla facilità con cui un solo battito d'ali lo faceva avanzare in aria di svariati metri. Se le creature che stava disperatamente cercando da quasi cinque mesi erano dei Draghi d'acqua, la sua razza non poteva che appartenere all'aria, all'elemento con cui si sentiva tanto in sintonia. C'erano solo due cose che potevano quietare l'animo di un Drago: il proprio Ascendente e l'ebbrezza del volo. Sua madre aveva ragione.

Il tetto del quartiere generale della FSI era un terrazzo sterminato su cui erano disseminati, apparentemente alla rinfusa, strumenti scientifici di cui il levantino non era in grado di indovinare lo scopo.
La maggior parte erano marchingegni pieni di ingranaggi, pesetti e specchi.
C'erano assi di legno morbido in cui erano incassati chiodi e bulloni, ruote dentate di gomma lucente, leve di metallo colorato...
Alcune macchine erano in movimento e assecondavano un ritmo che qualche mente brillante aveva loro impartito; altre erano immobili, puntate verso il cielo.

Tseren valutò che alcuni di quegli strumenti misteriosi avrebbero potuto essere armi di difesa, eppure l'intuito lo tranquillizzava: non vedeva né lame acuminate, né munizioni di alcun tipo. Utukur era davvero convinto che nessuno avrebbe mai osato attaccare il cervello pulsante della sua organizzazione?

Si diresse senza indugio verso l'accecante cupola d'oro, verso il tetto del palazzo gremito di scienziati.
Li scorgeva dietro le tende svolazzanti. Chini sulle loro provette.
Sepolti tra i loro manoscritti. Poteva quasi distinguerne le singole voci. Riconosceva i loro sguardi, come se li avesse già incrociati uno per uno. E invece erano semplicemente tutti uguali: colmi di fredda curiosità e vuoti di empatia.

Era abbastanza vicino da essere avvistato e così rimase in paziente attesa del primo urlo, mentre accelerava per non perdere il vantaggio della sorpresa.

L'aria che scorreva sulle ali possenti del Drago da sibilo divenne fischio, e da fischio divenne stridore. Agata non riusciva quasi a distinguere le urla del vento da quelle degli studiosi che, con la testa piegata all'indietro, fissavano allibiti il rettile gigante piombare su di loro, bucando le nuvole cariche di pioggia.

Tseren attese che i più svelti corressero ai ripari; non aveva nessuna intenzione di uccidere di nuovo, nonostante il desiderio di rendere quell'atto diversivo un massacro si faceva sempre più seducente. Le grida di quegli esseri così fragili alimentavano la sua sete di sangue; l'odore della paura gli dava alla testa e il drago liberò un ruggito più potente dei primi tuoni, avvisaglia del temporale in arrivo.

All'udire il lamento poderoso della belva, persino l'Ascendente ebbe un fremito e lasciò andare il collo di lui, reggendosi solo tramite le corde che la legavano saldamente. Quel gesto le venne spontaneo, perché, nonostante indossasse i guanti d'oro dei Goblin, ricordava cosa era successo l'ultima volta che si era trovata in groppa a Tseren quando aveva sputato fuoco. Anche se non poteva esserne certa, aveva il presentimento che a momenti il Drago avrebbe liberato le sue fiamme, quelle lingue incandescenti che non lasciavano scampo.

La creatura scese in picchiata, inclinandosi quasi di novanta gradi; puntò l'area del terrazzo dove erano rimasti ormai in pochi e scagliò su di loro, senza pietà, il suo alito infuocato. All'inizio scatenò la sua furia solo in direzione degli attrezzi, poi sempre più indiscriminatamente, senza curarsi delle persone che ancora correvano in preda al panico verso le numerose scale a chiocciola che conducevano all'interno del palazzo. Senza pietà. Per la prima volta Agata sentì dentro di sé l'abisso che sempre più prepotentemente reclamava Tseren. Il respiro le mancò per un attimo e la ragazza chiuse gli occhi per non vedere le fiamme che lambivano le vesti dei malcapitati.

Di fronte alla proposta di attaccare la sede principale della FSI nella sua forma di drago, Tseren aveva cercato in tutti i modi di convincerli a cercare un'altra via. Ma Harris era stato irremovibile e Agata aveva infine convinto il levantino ad accettare l'unico piano sensato per attirare l'attenzione del vertice della FSI lontano dal laboratorio negli Altopiani. La ponentina, con l'oratoria che la contraddistingueva, aveva rassicurato il Drago; gli aveva garantito che sarebbe bastata la sua presenza a dargli lucidità. E invece la situazione si stava rivelando molto più grave del previsto. Tseren aveva sì il controllo di sé, tanto da aver aspettato a sputare quel fuoco famelico; aveva temporeggiato finché gran parte degli scienziati non si erano rintanati. Eppure, nel momento stesso in cui si era lasciato andare, una follia omicida aveva cominciato a graffiare a sangue il suo animo. Di tanto in tanto il lato spietato della sua duplice natura lo convinceva a lasciargli le redini. Era solo per una frazione di secondo, eppure bastava un istante estremamente breve per vomitare una di quelle colonne di fiamme sulle persone terrorizzate, invece che sugli oggetti inanimati.

Quando si rendeva conto di cosa aveva fatto, un dolore dilaniante riempiva ogni angolo del suo cuore, indebolendolo ancora di più, permettendo alla follia di sputare fuoco un'altra volta. Dopo un intervallo pericolosamente più breve.

Agata aprì gli occhi e nel vedere alcuni scienziati che si dimenavano in una lotta vana contro le fiamme, nell'immaginare quei corpi vivi che nel giro di qualche minuto sarebbero stati completamente carbonizzati, fece qualcosa che probabilmente avrebbe dovuto fare prima.

«Stai tranquillo, Tseren. Stai tranquillo. Presto sarà tutto finito». Avrebbe potuto dirgli qualsiasi cosa, ma le venne spontaneo rassicurarlo in quel modo: sussurrandogli di non avere paura di se stesso e accarezzandogli la nuca con la mano tremante.

A quelle parole, come per un miracolo della natura, i tuoni e i lampi del temporale si fecero più vicini e le nuvole si sciolsero in un acquazzone purificatore. La pioggia bagnò i corpi in fiamme spegnendo gli incendi e per un attimo le urla cessarono.

Il primo degli Alicanti [completata]Where stories live. Discover now