27 - Una schietta festicciola

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Quando arrivarono sulla soglia della palafitta, Tseren e Xhoán trovarono la porta aperta, bloccata da un barile avvolto in un pagliericcio; furono travolti da un allegro baccano che allo sciamano ricordò il vocìo informe delle feste nel villaggio ai piedi del Monte Ariun, quelle celebrazioni che erano state parte della sua vita per vent'anni e a cui ora non avrebbe mai più preso parte.

L'uomo attraversò l'uscio sospirando e spiò l'espressione seria del figlio: per quanto il colore delle sue iridi fosse tornato alla normalità, la profonda tristezza che vi dimorava era come una morsa che stritolava il cuore dello sciamano. Aveva provato a prepararsi a quel momento, sapeva che avrebbe dovuto sorreggere Tseren finché non si fosse ripreso, eppure avrebbe dato qualsiasi cosa per prendere in spalla lui stesso parte di quei tormenti.

Se solo Baya fosse stata ancora con loro! Purtroppo parte del problema era proprio che il ragazzo non poteva confrontarsi con nessuno che capisse cosa significasse avere l'animo dilaniato tra due nature opposte. Temeva inoltre che il carattere leale e inflessibile del figlio fosse uno degli ostacoli che gli impediva di perdonarsi: se fosse stato un po' più accomodante, se avesse considerato più sfumato il confine tra giusto e sbagliato, magari non si sarebbe torturato a tal punto.

L'attacco del villaggio era stato a tutti gli effetti un incidente, la coscienza umana di Tseren non poteva aver avuto alcun ruolo perché un Drago che si trasformava senza il proprio Ascendente era totalmente preda dell'istinto animale. Tseren non era cosciente in quel momento, non era veramente presente, eppure era stato lui a compiere la strage e non era nella sua indole trovare delle scuse. Perché era così che Baya l'aveva cresciuto.

Agata, al contrario, riusciva a rigirare qualsiasi cosa; le bastava trovare una spiegazione logica e non si lasciava sviare dalle emozioni. Xhoán aveva sperato ardentemente che questo modo di ragionare potesse contagiare anche Tseren, ma il figlio era troppo testardo e probabilmente stava cercando la soluzione del problema dentro di sé, invece che fuori.

Lo sciamano provò una tenerezza infinita nel vederlo rimanere sulla soglia: in disparte, il Drago osservava le luci e le ombre della normalità, come uno spettatore a cui non era stato dato il permesso di unirsi a quel flusso naturale di condivisioni, chiacchiere, relazioni.

«Andiamo, raggiungiamo gli altri!» gli intimò infine spingendolo con affetto verso il centro della sala.

Man mano che si avvicinava ad Agata, Tseren sentiva un benessere familiare quietare il fuoco che la discussione con suo padre aveva agitato. Eppure non appena l'aveva vista, circondata dai suoi amici, per la prima volta genuinamente sorridente, aveva dovuto combattere con il desiderio di lasciare la stanza; e probabilmente, se Xhoán non fosse stato lì, si sarebbe davvero seduto da solo, all'esterno, fino alla fine della festa.

Harris ronzava attorno ad Agata con apparente indifferenza, ma in realtà era conscio di ogni movimento di lei. Tseren se ne era accorto subito perché era quello che aveva fatto lui stesso per mesi, quando l'aveva conosciuta. Ora, fortunatamente, non aveva più bisogno di una scusa per starle vicino, eppure si sentiva comunque a disagio a interrompere quel momento di normalità e così si avvicinò a Shuiní, che stava sgranocchiando sovrappensiero un bastoncino di carne anfibia.

«Mi piace tuo padre. Mi sembra uno con i piedi per terra» commentò la taciturna ragazza, offrendogli un boccone della rana.

«Come fai a saperlo? Non ci hai neanche parlato» ribatté il Drago perplesso.

«Certe cose si capiscono al volo. Guarda!» E discretamente indicò un gruppetto che banchettava nell'angolo opposto della stanza. «Svampita. Arrogante. Emotivo». Mentre parlava indicava con il bastoncino, una a una, le persone a cui erano riferiti quegli appellativi.

Il primo degli Alicanti [completata]Where stories live. Discover now