Capitolo 7

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Non avrei mai pensato di essermi allontana così tanto dalla città.
Le strade erano silenziose, poco illuminate, ma Damon dava l'impressione di conoscerle a memoria, non aveva alcun problema ad orientarsi.
Temevo il momento in cui avrebbe scoperto dove realmente vivessi, era inevitabile, ma forse lui non ci avrebbe neppure fatto caso.
Una cosa dovevo riconoscergliela, sapeva essere abbastanza discreto.
Inutile dire, che ebbi il fiato sospeso per tutto il tragitto, guidava così veloce che non riuscivo neppure a distinguere quello che ci circondava, forse lui era abituato a tutto ciò, io per nulla, ma nonostante questo, non avevo una gran paura di schiantarmi contro un albero, Damon mi dava una sicurezza che normalmente non avrei dovuto provare, verso un tipo di ragazzo, come lui.
Mi aveva seguita, ne ero certa, era impossibile che mi avesse vista per caso sulla riva di quel ruscello.
Allora, mi porsi una domanda.
Perché?
Perché l'aveva fatto, quando era palese, che di me gliene importasse poco o niente?
Lo vidi rallentare in prossimità della strada che gli avevo indicato, sarei potuta scendere lì e proseguire a piedi, così che lui non avrebbe mai scoperto dove in realtà vivessi, ma non ero sicura che me lo lasciasse fare, sapeva essere molto insistente, alle volte.
"Dove devo andare?" Disse, girandosi con la testa nella mia direzione.
Avrei almeno potuto tentare, mi dissi.
"Va bene qui", feci per scendere, quando una sua mano si posò sul mio ginocchio.
"Qual è la tua casa?".
La sua non sembrava una gentile richiesta, era bruto e deciso quando chiedeva qualcosa.
Sospirai, ormai arrendendomi all'idea di poter nascondere che io una vera casa, non ce l'avevo.
Non che mi vergognassi di questa cosa, ma odiavo la pietà che leggevo negli occhi della gente ogni qualvolta lo venisse a sapere.
In tutta onestà, non mi aspettavo lo stesso trattamento da parte di Damon, credevo che lui non avesse pena di nulla e forse ero curiosa di vedere la sua reazione, una volta scoperta una piccola verità su di me.
"Quel palazzo lì", indicai l'enorme struttura in mattoni rossi, a duecento metri da noi. "Però, dovresti lasciarmi sul retro", aggiunsi, non riuscendo a scorgere alcuna espressione sul suo viso, dato che era intento a guardare, dove io avevo puntato il dito.
Rimise in moto, percorrendo quei pochi metri mancanti, fermandosi al fianco del cancello sul retro, vicino la mia stanza.
"Grazie del passaggio", gli sorrisi, sfilandomi il casco.
"È un orfanotrofio questo?" Chiese, guardandomi così intensamente negli occhi, che credetti di poter svenire da un momento all'altro, le gambe mi tremarono.
Lui non parlava molto, ma quando lo faceva, sapeva come destabilizzarti.
"Già", sussurrai, con la mano a mezz'aria per restituirgli il casco, che solo dopo qualche secondo, sfiló dalle mia mani.
"Quindi sei scappata stasera?" Assottigliò lo sguardo, mostrandomi un mezzo sorriso beffardo.
Sembrava che quella fosse l'unica conclusione alla quale fosse arrivato, o forse non era il tipo da domande scomode.
Il ogni caso, gliene fui grata.
"Ultimamente lo faccio spesso", scrollai le spalle, ficcandomi le mani nelle tasche dei jeans larghi e scoloriti che indossavo, ero inguardabile, ne ero consapevole, ma avevo sempre ritenuto inutile spendere soldi in cose simili.
"Ah però, non l'avrei mai detto", mormorò, toccandosi il mento con due dita, come se stesse realmente riflettendo su quanto detto, ma il suo era solo un modo di prendersi beffa di me.
"Tate dice che devo iniziare a vivere sul serio, ci sto provando", risposi, forse per metterlo a tacere o forse perché avevo ancora voglia di restare lì con lui, non mi andava di risalire in camera, non quella sera.
"Non hai vissuto fino ad ora?" La sua voce era calda, molto roca e in quella domanda scorsi tanta serietà.
Non stava giocando.
"Credo di no", sussurrai in risposta. "Ho sempre rispetto le regole e queste non prevedevano uscite notturne o quant'altro", aggiunsi con un mezzo sorriso.
"È una sorta di carcere?" Inarcò un sopracciglio.
"Per me non lo è mai stato, per le altre si, ma....ma credo che voglia godermi la vita, anche al di fuori dell'orario scolastico", spiegai in modo conciso.
"Per incontrare il tuo ragazzo?" Storse il labbro, poggiandosi con i gomiti sul manubrio della moto.
"Non ho un ragazzo", risposi.
"Capisco", mormorò, continuando a guardarmi negli occhi, ma non aveva mai distolto lo sguardo, a differenza della sottoscritta che alternava momenti di gran coraggio a momenti in cui ero un tenero agnellino al suo cospetto.
"Comunque grazie per il passaggio, buonanotte", mi voltai, raggiungendo il piccolo cancelletto che avrei dovuto scavalcare.
"Non ti facevo così abile", gli sentì dire, mentre mi avvicinavo alla piccola catena che conduceva alla finestra della mia stanza.
"Non lo sono, infatti", sospirai, cercando di ricordare dove dovessi mettere il piede per darmi una spinta.
"Vuoi una mano?" Sghignazzò, la sua voce era fin troppo vicina e quando mi girai, lo trovai ad un palmo da me.
"Ma come.."
"So essere molto silenzioso, a differenza tua", ridacchiò, inginocchiandosi e mettendo le sue mani a coppa. "Su sali e poi metti il piede lì", mi indicò una rientranza nel muro che io proprio non avevo visto.
Feci come mi disse, e grazie alla spinta che mi diede, fu un gioco da ragazzi arrivare al davanzale della finestra, per sedermici sopra.
"Sana a salva", mormorò, pulendosi le mani sui jeans neri.
Già, con lui mi sentivo proprio così.
"Ciao Damon", dissi, ma ovviamente non mi rispose.
Tuttavia, mi nascosi dietro la finestra, potrei giurare di aver visto un sorrisetto sul suo volto, non appena oltrepassò il cancello dell'orfanotrofio.
Scalciai le scarpe sotto al letto, notando quello di Tate ancora vuoto, forse era meglio così, sicuramente mi avrebbe fatto una ramanzina e avrebbe voluto sapere dove mi ero andata a cacciare fino a quel momento, ma non era il caso di dirle la verità.
Se solo avesse saputo, che mi ero ritrovata con Damon, in un bosco abbandonato, come minimo le sarebbe preso un colpo ed era plausibile.
Ero stata, senza dubbio, un'incosciente a fidarmi di lui, infondo non lo conoscevo e le poche cose che avevo sentito sul suo conto, non ero molto rosee, peccato che io non mi ero mai fermata all'apparenza con nessuno e forse, non lo avrei fatto neppure con lui.
Anche stavolta, a modo suo era stato gentile, aveva degli atteggiamenti discutibili e sicuramente non era un gentiluomo, ma intanto non mi aveva lasciata sola per un istante, aiutandomi perfino a salire uno stupido muretto.
Non volevo illudermi, avevo letto troppi libri d'amore, in cui la ragazza ingenua, si innamora del puttaniere della scuola e nella maggior parte dei casi, quella poverina pativa le pene dell'inferno.
Non erano questi i miei piani, non ero così banale, tuttavia non trovavo la forza per allontanarmi da lui.

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