Capitolo 33

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Ti aspetto giù.

"Che aspetti?". Urlò Corinne, tirandomi per un braccio.
"Ma..ma si sarà sbagliato", balbettai, passandomi nervosamente le mani fra i capelli, ero in pigiama ed ero agitata come una scolaretta al suo primo giorno di scuola.
"Sbagliato? Ma che dici?".
"Magari crede che io sia ancora in ospedale", scrollai le spalle.
"Ma sei idiota?". Urlò. "Se pensava che tu fossi ancora in ospedale, non ti avrebbe mai chiesto di raggiungerlo giù, ragiona", alzò gli occhi al cielo, prima di tornare a guardami male.
"Non riesco a ragionare in questo momento", sbuffai.
"Chiedigli dov'è?". Mi suggerì.
"Non so se voglio rispondergli", tutti i miei buoni propositi, stavano per andare a farsi benedire.
Ero in continuava contraddizione con me stessa.
"Oh sì che vuoi farlo", tentò di afferrare il telefono della mie mani, ma non ci riuscì.
"Eh no, lascia fare a me", presi un lungo respiro. "Sono arrabbiata con lui, non voglio che pensi che io sia la solita stupida".
"Beh, allora diglielo, quale migliore occasione di questa?". Incrociò le braccia al petto.
"Mh, gli chiedo dov'è". Non ero molto convinta che tutto questo, avrebbe portato a qualcosa di buono, ma aveva ragione Corinne, io volevo parlargli, dovevo capire alcune cose, prima di voltare pagina o meno.

Giù, dove? Inviai quel messaggio, che avevo un terribile groppo in gola.
"Nel frattempo indossa qualcosa", mi spronò la mia amica, passandomi un jeans. Non ebbi tempo di infilare anche una maglia, per sostituirla a quella della notte, che il telefono squillò ancora.

Sotto casa del medico killer, sbrigati. Ti aspetto.
Alzai gli occhi al cielo, lui e il suo fastidioso vizio di affibbiare nomignoli a tutti, tranne che a me.
Certo, mi aveva chiamata piccola, piccoletta e Margot, ma era capitato così di rado che quasi mi mancava quella cosa. Che stupida che ero.
"È qui sotto", sospirai, mentre infilavo le scarpe e la giacca.
"Oddio che emozione", cinguettò, aggiustandomi i capelli che sarebbero ugualmente rimasti un disastro totale.
"Sto per svenire, di nuovo", sbuffai una risata. "Prima o poi questo ragazzo mi farà venire un infarto".
"Beh, spero nel modo giusto", ammiccò, spingendomi fino alla finestra. I miei racconti, le avevano senz'altro aperto la mente per come poter scappare da una stanza.
"Torno il prima possibile, ti prego non far accorgere di nulla la Morris", la pregai con lo sguardo. Questo proprio non poteva accadere.
"Tranquilla e fatti valere", mi diede una pacca sulla spalla, aiutandomi a scavalcare la staccionata.
"Ci proverò", abbozzai un sorriso, prima di calarmi giù.

"Shhh", chiusi gli occhi, reprimendo la voglia di urlare, quando due mani mi afferrarono per la vita, prima che io potessi toccare terra con i piedi.
Mi girai fra le sue braccia, allontanandomi.
"Cosa vuoi?". Damon, inarcò un sopracciglio.
"Seguimi", disse, camminando tranquillamene fra le varie piante appuntite del giardino di Clelia.
"Che intenzioni hai?". Restai ferma davanti la sua auto, senza salirci.
"Devo parlarti", sembrò già infastidito del mio atteggiamento, ma francamente, non me ne importò più di tanto. Doveva capire che con me, non poteva fare tutto quello che gli passava per la testa.
"Devo tornare prima dell'alba", comunicai, aprendo lo sportello per poi sbatterlo energicamente.
"Potevi anche chiuderlo più gentilmente", mi trucidò con lo sguardo, una volta raggiunto il suo lato. Non lo risposi neanche.
Mise in moto, inoltrandosi nelle deserte strade londinesi.
Con quel freddo, tutti erano rintanati nelle loro case, magari a dormire o a guadare un film.
Ovunque mi stesse portando, decisi di non chiedere nulla, fin quando lui non avesse aperto bocca.
Dopo soli dieci minuti, l'auto si fermò, non avevo neppure guardato al di fuori del finestrino, ma appena lo feci, dovetti trattenermi dal sorridere.
Mi aveva portato al Big Ben.
"Scendi", ordinó. Lo guardai male, ma lui aveva già chiuso il suo sportello.
Lo vidi camminare in direzione di quel ponte che portava alla torre con l'orologio, così lo seguì.
Per un lato, ero contenta di non avere occhi indiscreti attorno, avrei potuto gettarlo nel fiume tranquillamente.
Si fermò, accendendosi una sigaretta.
Mi misi al suo fianco, e continuai il mio gioco del silenzio. Funzionò.
"Come ti senti?". Domandò. Sentivo i suoi occhi bruciare sul mio profilo, ma non ricambiai. Non sarei riuscita a mantenere questo atteggiamento, se avessi incrociato il suo sguardo.
"Meglio, la morfina ha calmato il dolore", mi strinsi meglio nella mia giacca, alle volte Dam, dimenticava di essere ormai nel mese di dicembre.
"Non devi più prendere quella roba", serrai le mani. Odiavo quando usava quel tono autoritario con me, sopratutto dopo il modo in cui mi aveva trattata. Fui presa da un moto di rabbia, che mandò all'aria tutti i miei piani.
"Che vuoi Damon? Perché siamo qui?". Mi girai di scatto, cogliendo la sorpresa nel suo sguardo o forse qualcos'altro.
"Quanta aggressività piccoletta, sicura che era morfina quella che ti hanno iniettata?". Ammiccò.
"Ok, ciao", mi girai, avviandomi, non sapevo neppure bene io dove.
"Aspetta cazzo, stavo scherzando". Mi afferrò per un braccio. Non ero riuscita a fare neppure tre passi.
"Va a prendere in giro qualcun'altra", cercai di liberarmi, ma non mollava la presa.
"Non lo sto facendo", sbottò. "Smetto di fare il coglione, ma non andartene", era teso e non riusciva neanche a guardarmi in faccia.
"Lo spero", sussurrai, riuscendo a staccarmi da lui e tornare dove eravamo prima.
Poggiai i gomiti sul cornicione di quel ponte, guardando dritto.
"Ero incazzato quella sera, ecco perché l'ho fatto". Sentì la sua presenza al mio fianco.
"Con me?". Mi accigliai, girandomi nella sua direzione, lo fece anche lui.
"Con te", confermò.
"Perché?". Non capivo.
"Sei sparita", mormorò fra i denti.
"Come scusa?".
"Hai capito", sbuffó. "Ero venuto da te e le gemelle Shining, mi hanno detto che eri partita per Londra".
"Le gemelle Shining?". Ridacchiai, ma poi smisi di farlo. "Ti hanno visto?". Strabuzzai gli occhi.
"Anche la cuoca cicciona".
"O mio Dio", urlai. "Sei impazzito?".
"Non è successo nulla, tu sei qui, non hai alcuna colpa di quello che è successo quel giorno". Scrollò le spalle.
"Potrebbero denunciarti, lo sai questo?".
"Ti preoccupi per me, piccola?". Un sorriso beffardo, illuminò il suo viso.
"Cosa? No, smettila", sbuffai, guardandolo male. "Sei un incosciente".
"Lo so", ridacchiò. "Resta il fatto che tu sei scomparsa", tornò serio.
"Io non sono scomparsa", mi accigliai. "E poi perché questa cosa ti avrebbe fatto arrabbiare?".
"Potevi almeno dirmelo, mi sarei risparmiato di venire fin lì, inutilmente", sbottò, alzando la voce.
"È perché saresti venuto?". Incrociai le braccia al petto.
"Non me lo ricordo neppure", scrollò le spalle, prendendo un'altro tiro da quella sigaretta che si era quasi consumata da sola.
"Certo, ti ricordi solo quello che ti conviene, il resto lo butti nel dimenticatoio".
"Cosa vuoi insinuare?". Assottigliò lo sguardo, avvicinandosi di un passo.
"Sparisci anche tu sai? Per molto più tempo, eppure io non ho mai preteso quello che stai pretendendo tu".
"Posso fare quello che voglio". Disse.
"Beh, anch'io", roba da pazzi.
"No", si avvicinò ancora.
"Ma come ti permetti?". Lo colpì sul petto, inutilmente. "Sei venuto fin qui, solo per dettar regole". Nessuno mi aveva mai fatta incazzare così tanto.
"Qualcosa del genere", ammiccò, alzando e abbassando ripetutamente le sopracciglia.
"Non ne hai alcun diritto e poi non credo che tu abbia tutto questo tempo da dedicarci", ero una furia. Avevo così tanta voglia di prenderlo a calci.
"Che?". Sbuffó una risata.
"A tutte quelle che seduci e abbandoni", sbottai. "Sai, sono una di loro".
"Ah quindi ti ho sedotto?". Sussurrò con voce greve, tentando di avvicinarsi ancora un po'. La mia schiena, premuta contro la staccionata.
"Stai rischiando un bel calcio", lo avvisai.
"Non hai riposto", disse, poggiando le mani al lati del mio corpo.
"No, non mi hai sedotto", scossi il capo, pur di non guardarlo negli occhi.
"Peccato", disse.
"Sono sicura che ti riprenderai in fretta", mormorai fra i denti. Lui scoppiò a ridere. Ero sicura di essere l'unica ad averlo visto così divertito negli ultimi tempi. Questo mi provocò una fitta allo stomaco, ben diversa da quelle che avevo avuto quella stessa mattina.
"Non lo penso davvero", tornò serio, perforandomi con lo sguardo.
"Che tu sia come le altre". Questa poteva essere una lama a doppio taglio. Questa risposta, poteva avere tanti significati.
"Che intendi?". Sussurrai, mordicchiandomi il labbro nervosamente, mi fermai quando notai che stesse guardando proprio quello.
"Sei l'opposto di Piper o comunque quel tipo di ragazza". Disse, spalancai gli occhi, quando le sue mani finirono sotto le mie ginocchia, facendomi così sedere sul cornicione di quel ponte, mentre lui, restò in piedi fra le mie gambe.
"Non so se prenderlo come un complimento o meno", borbottai, poggiando le mani ai lati del mio corpo.
"Dipende", disse facendomi accigliare. "Dipende da come lo intende chi l'ha detto". Odiavo e amavo quella faccia da sbruffone che aveva.
"E tu come lo intendi?". Strinsi le braccia al petto, si moriva dal freddo e la maglia che indossavo al di sotto del cappotto, non era per niente adatta a quelle temperature, così rigide.
"Secondo te?". Le sue mani si posarono sui miei fianchi.
"Non mi piace questo gioco", sussurrai perdendomi nei suoi occhi. Non poteva scherzare con i miei sentimenti, anche se non sapeva neppure che esistessero.
"Secondo te?". Ripetè ancora.
"Dal modo in cui hai detto quella frase l'altra sera, non credo sia un complimento".
"Ero incazzato", una sua mano scese ad accarezzare una mia gamba.
"E ubriaco", aggiunsi. "Gli ubriachi dicono sempre la verità".
"Non devo dimostrarti nulla, Krystal", lo disse, quasi arrabbiato, mentre con l'altro braccio, cinse la mia schiena, attirandomi a se.
"Allora perché sei qui?". Ansimai sulle sue labbra, quando la mano che era sulla mia gamba, risalì, infilandosi all'interno del mio cappotto.
"Perché sei sparita", i nostri nasi si sfiorarono, mentre quelle dita fredde, sfiorarono la mia pancia, facendomi rabbrividire. "E io odio non avere il controllo".
"Vuoi controllarmi?". Corrucciai lo sguardo, lui poggiò la fronte contro la mia, chiudendo gli occhi.
"Sei nuda, Krystal?".
"Cosa? Io..", avvampai, quando sentì le sue dita quasi sotto le ascelle, dove in teoria, ci sarebbe dovuto essere un reggiseno. "Mi davi fretta", borbottai.
"Non ho detto che è un problema", nonostante il fatto che non lo stessi guardando, ero sicura che stesse ridendo o meglio sogghignando.
"È imbarazzante", sbuffai, poggiando la fronte contro la sua spalla.
"È sexy", sussurrò nel mio orecchio.
Fu il mio momento di ridere.
"Cosa? Io senza reggiseno?". Alzai il capo, guardandolo.
"Suona bene", ammiccò, spostando una ciocca di capelli dietro il mio orecchio. Adoravo quando mi sfiorava il viso.
"È bello qui", mi guardai intorno imbarazzata. "Che lavoro dovevi fare a Londra?".
"Consegnare dei soldi", mi stupì il fatto che mi avesse risposto e allo stesso tempo, mi deluse. Era davvero venuto qui, per lavoro.
"Capisco", mormorai.
"Quando torni?". L'aria si era fatta più tesa, era chiaro che dovesse allontanare l'attenzione da se, ma io, ugualmente non gli avrei chiesto più nulla.
"Non lo so", mentì. Non mi andava di dirgli che domani sarei tornata e poi ero sicura che non sarebbe cambiato ugualmente nulla.
"Capisco", disse, recuperando la sigaretta che aveva poggiato al mio fianco per poi gettarla nel fiume.
"C'era un cestino proprio lì".
Si allontanò, lasciandomi lì sopra.
"Il mondo andrà a puttane anche senza la mia inciviltà", si avvicinò alla sua auto. "Ti accompagno", aggiunse freddo, entrandovi dentro.

SweetWhere stories live. Discover now