Capitolo 24

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Il suo pugno contro la porta che restò chiusa, le mie mani, strette a quell'asciugamano che usavo come una sorta di scudo.
Mi appiattì ancor di più al muro alle mie spalle, mentre lo vidi avanzare furioso nella mia direzione.
"Non l'ho mai fatto", il respiro irregolare, batteva sul mio viso, mentre ancora una volta, mi ritrovai prigioniera delle sue braccia.
"D-Damon cosa...", i suoi occhi, immobilizzarono ogni mia volontà sul nascere.
Era fuori di se, come mai prima d'ora.
"Non ho bisogno di questo", disse, confondendomi ancor di più.
"Ma di cosa stai parlando?". Sussurrai, guardando ovunque, tranne che nei suoi occhi, mi sarei persa e io dovevo assolutamente restare lucida.
"Di questo", una sua mano, si posò sul mio braccio, trascinandolo verso il basso.
Con l'altra mano, lottavo per mantenere quel maledetto asciugamano, che non stava ugualmente, svolgendo un buon lavoro.
Le sue dita, raggiunsero il mio collo, solleticandolo appena.
"Sono il peggiore dei bastardi, krystal", sussurrò con tono greve.
"Ma non userei mai queste labbra", le sfiorò con le sue, mantenendo una certa distanza che mi stava letteralmente uccidendo.
"Questo corpo", il suo sguardo scese languido fino alle mie gambe nude. "Per vendicarmi", aggiunse, tornando serio.
"Di cosa?". Sussurrai, poggiando una mano sul suo petto, non volevo allontanarlo, volevo solo toccarlo, come lui stava continuando a fare con me.
"Non ha importanza", poggiò la sua fronte contro la mia, facendomi dimenticare persino come mi chiamassi.
"E cosa ha importanza per te Damon?". La voce ridotta ad un sussurro, mentre continuavamo a mangiarci con gli occhi.
Volevo che lo facesse, che mi baciasse e mi stringesse forte a se.
"Poche cose", rispose, bagnandosi le labbra con la lingua e nel farlo, ci sfiorammo ancora.
Ma non mi bastava, non mi sarei mai stancata di lui, del suo tocco, del suo profumo e di ogni cosa che lo riguardasse.
Non ebbi il tempo di aprir bocca, che la porta alle nostre spalle, venne spalancata da una Piper, la cui espressione, urlava guai.
Riuscì a malapena ad ascoltare l'imprecazione di Damon, prima di rendermi conto, di quello che stava succedendo.
Damon, si allontanò di scatto, ma non abbastanza in fretta da impedire alla preside di vederci in quelle condizioni, insieme.
Non mi ero mai vergognata così tanto in vita mia.
"Cooper", squittì quella donna, guardando prima Damon e poi me, con espressione sbigottita.
"In presidenza, entrambi", aggiunse, distogliendo lo sguardo e avevo già una mezza idea di come le cose sarebbero andate.
Damon, non avrebbe avuto alcun tipo di problema, mentre io, ero pronta ad affrontare le conseguenze, anche se, ancora non mi era chiaro, cosa avessi fatto.
L'unica cosa di cui ero certa, era che, dietro quell'improvvisa comparsa della preside, ci fosse lo zampino di Piper.
"Vestiti", ordinò Damon, lanciandomi un ultimo sguardo, uscendo dallo spogliatoio, non prima di aver fulminato con gli occhi Piper.
Questo fu una conferma, ancor più grande, di quello che già pensavo.
Tuttavia, a lei, non fece né caldo né freddo.
"Ti avevo avvisata", mormorò nella mia direzione, prima di seguire Damon fuori.

Ad ogni passo, provavo ad immaginare quanto sarebbe stata grande la delusione della Morris, una volta, che la notizia si sarebbe espansa fino a lei.
"Non devi preoccuparti", la sua voce, ancora una volta, mi colpì alle spalle ed anche in questo caso, non capì da dove cavolo sbucasse all'improvviso.
"Risolverai anche questa volta a modo tuo?". Bisbigliai, guardandolo.
Camminava al mio fianco, ma con lo sguardo dritto dinanzi a se.
"Si", così controllato, così tranquillo.
"A me non sta bene", replicai, fermandomi di colpo.
"Che?". Si girò, aggrottò le sopracciglia, prima di incrociare le braccia al petto.
"Non voglio favoritismi", sussurrai a disagio.
"In teoria, tu non hai fatto nulla", mi guardò di sottecchi. "Io ti ho seguito", sussurrò, avanzando di un passo.
Era così sexy, senza un minimo sforzo.
Lo era e basta.
"Già", assottigliai lo sguardo. "Quindi non serve corrompere nessuno per me", di questo ne ero sollevata.
Non mi piacevano affatto i suoi modi, almeno in quel campo.
"A chi credi daranno la colpa per quello che ho fatto io?". Sbuffò una risata amara. "Troppi occhi hanno visto me e te su quel muro, deve per forza esserci un colpevole".
"Non voglio offendere la tua amica, ne accusarla, però...".
"Lo so", si rabbuiò. "La conosco", aggiunse, facendo una smorfia. "E non è una mia amica".
"No?". Ero confusa e lo notò anche lui.
"No, ma non credo sia il caso parlare di lei ora", disse, girando i tacchi.
"Fà parlare me", urlò infine, prima di svoltare l'angolo, che ci avrebbe portati dritti in presidenza.

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